Le partite parallele di Sergio Mattarella e di Giuseppe Conte

Per cercare di capire le ragioni che hanno indotto il capo dello Stato -anche a costo di fare venire dubbi a costituzionalisti di prima fila come Michele Ainis, che ha scritto su Repubblica di una “crisi in incognito”- a permettere al presidente del Consiglio di presentarsi alle Camere per verificare la fiducia al suo governo anche senza dimettersi, come se lo avesse fatto e il presidente della Repubblica lo avesse rinviato al Parlamento, bisognerebbe leggere con attenzione il quirinalista che va, peraltro meritatamente, per la maggiore. Che è Marzio Breda, abituato a frequentare il Quirinale come casa sua.

“I dossier urgenti e legati alla pandemia saranno affrontati dal prossimo esecutivo, quale che possa essere”, ha scritto Breda. Ciò significa, o sembra significare, che al Quirinale si sono interrogati sulla opportunità, se non addirittura sulla legittimità delle riunioni del Consiglio dei Ministri programmate via via dal presidente del Consiglio per questioni, appunto, urgenti anche dopo l’uscita dal governo delle due ministre renziane.

Il Capo dello Stato ha quindi ritenuto di evitare una pratica anomala di governo -in una legislatura che vive di anomalie dall’inizio- accettandone un’altra di tipo diverso. Che è quella di un presidente del Consiglio che perde un pezzo della propria compagine ministeriale e maggioranza e, volendo “parlamentarizzare” la crisi, come si dice e si invoca da ogni parte, si presenta alle Camere senza dimettersi e senza esservi stato rinviato, ripeto, dal presidente della Repubblica. E ciò per verificare, a questo punto, non se dispone ancora dello schieramento formatosi attorno a lui nel 2019 ma se dispone di una maggioranza e basta, anche diversa da quella originaria grazie ai cosiddetti “responsabili”. Che, provenienti dallo schieramento originariamente opposto, vogliono adesso essere chiamati “costruttori” per riconoscersi ed essere riconosciuti fra quelli auspicati dal capo dello Stato nel messaggio di Capodanno, contrapposti ai demolitori, o rottamatori. E qui il pensiero corre subito a Matteo Renzi, anche se l’ex premier, ora leader di Italia viva, o “Italia virus”, come sfottono sul Fatto Quotidiano, non si lascia scappare occasione per apprezzare il presidente della Repubblica e sostenere di muoversi pure lui sulla sua scia. Un  Humphrey Bogart redivivo direbbe, al posto della stampa, che è la politica, bellezza.

In teoria logica, molta teoria, il rinvio dei “dossier urgenti” al “prossimo esecutivo, quale che possa essere”, presupporrebbe la convinzione, il timore e quant’altro del capo dello Stato che Conte non riesca a superare la scommessa che ha voluto fare sui numeri, specie al Senato, dove i renziani sono o erano decisivi sulla carta per fare prevalere una parte o l’altra.  Se battuto, il presidente del Consiglio uscirebbe dalla partita della crisi, questa volta da aprire obbligatoriamente. E si aprirebbe la strada ad un “prossimo” governo davvero, di corto o largo respiro che sia, elettorale o non.

Se tuttavia Conte non fosse battuto nella prova di forza cercata così ostinatamente, il capo dello Stato si troverebbe di fronte ad un governo fiduciato, sia pure da una maggioranza diversa da quella procuratasi un anno e mezzo fa, dopo la rottura con la Lega di Matteo Salvini. E un governo fiduciato, sia pure a maggioranza variata, difficilmente si dimetterebbe. Il presidente del Consiglio avrebbe anzi i titoli logici di procedere ad un rimpasto per sostituire i due ex ministri renziani e procedere anche ad altre modifiche per soddisfare la parte nuova della maggioranza. Insomma si passerebbe senza discontinuità, per usare un termine sollevato contro Conte dal Pd nella precedente crisi e poi ritirato, da un governo Conte e basta ad un governo Conte-Mastella, anzi “lady Mastella”, come ha detto sarcasticamente Renzi preparando la crisi che non è riuscito a fare aprire formalmente.

Clemente Mastella, sindaco peraltro uscente di Benevento, dove “mezzo Pd e 5 Stelle”, come lui stesso racconta, gli vogliono togliere la guida della città, è il primo beneficiario mediatico, diciamo così, di questa crisi-non crisi, sommersa o in incognito. Egli ha personalmente e pubblicamente incoraggiato e assistito la moglie Sandra Lonardo ad uscire da Forza Italia e dal centrodestra e a transitare di fatto verso la maggioranza contiana raccogliendo e sviluppando tradizioni di famiglia, tutte praticate per “amore” dell’Italia e della politica, secondo le dichiarazioni rilasciate in questi giorni dall’ex portavoce di Ciriaco De Mita, ex ministro del Lavoro di Silvio Berlusconi, ex ministro della Giustizia di Romano Prodi, ex attendente di Francesco Cossiga alla guida degli emuli degli “straccioni  di Valmy”. Che nel 1998 consentirono la formazione del primo governo di Massimo D’Alema. Per adesso egli è riuscito, in questa stagione, a riscalare le prime pagine dei giornali rivalutando i “vietcong” e rivendicando “la dignità delle amanti”.

Convulso il mercato dei “costruttori” impegnati a salvare Conte

            Sembrano pochi, anzi pochissimi, i giorni che mancano a martedì, quando il presidente del Consiglio non dimissionario Giuseppe Conte, per quanto abbia perduto per strada due ministre e un sottosegretario, potrà vedere al Senato -dove i numeri ballano diversamente dalla Camera e si giocherà quindi la partita decisiva- se dispone ancora di una maggioranza.

            Il sottosegretario agli Esteri Riccardo Antonio Merlo ha messo a disposizione della causa di Conte il suo “Movimento associativo italiani all’estero”, noto in Parlamento con la sigla Maie, per trasformarlo da modesta componente del gruppo misto del Senato in una scialuppa di salvataggio. Vi è già saltato dentro l’ex forzista Raffaele Fantetti con la sua associazione “Italia 23”, dall’anno della fine ordinaria della legislatura, che potrebbe diventare addirittura il nome di una lista di o per Conte, se il professore volesse partecipare alle prossime elezioni.

            E’ in questa scialuppa del Maie, che ha acceso la fantasia dei giornalisti del manifesto con quel titolo di prima pagina “Mai dire Maie”, che potrebbero saltare i dissidenti o transfughi da altri gruppi per costituirne uno autonomo, cui sono necessari almeno dieci senatori, e partecipare alla fiducia di martedì col requisito della non casualità o indeterminatezza chiesto da Mattarella a Conte per travestire da maggioranza continua una maggioranza in realtà diversa, o discontinua. Ne è infatti appena uscita l’Italia viva di Renzi, o ciò che ne resterà dopo questa operazione che potrebbe togliere anche ad essa qualche senatore.

            Sembrano pochissimi, dicevo, i giorni che ci separano da martedì, ma in politica no. Essi sono abbastanza per rafforzare o anche affondare progetti, ipotesi di lavoro o comunque si vogliano chiamare quelli di Conte e dei suoi sostenitori. I senatori transfughi dall’opposizione- che con Berlusconi al governo, nel 2010, si guadagnarono insulti per la pretesa di chiamarsi “responsabili” e che ora, per non incorrere nello stesso inconveniente, hanno assunto il nome di “costruttori” prendendolo dal messaggio di Capodanno del capo dello Stato-  potrebbero rivelarsi sufficienti a fare raggiungere e magari superare a Conte la soglia fatidica dei 161 voti nell’aula di Palazzo Madama, dando per scontato il pieno dell’assemblea, o no. Potrà dipendere da tante cose, anche dal prezzo materiale dell’operazione, sottolineato impietosamente dal Messaggero con un titolo sui “responsabili che costano troppo”.

             Il sindaco di Benevento Clemente Mastella, la cui moglie Alessandrina Lonardo è passata da tempo da Forza Italia ai componenti del gruppo misto che votano per il governo, ha avvertito che i nuovi alleati di Conte “non sono fessi”. Prima ancora egli aveva detto, sempre come uno dei registi dell’operazione, che le amanti saranno pure irregolari, diciamo così, ma hanno diritto ad una loro dignità.

            In una coincidenza, diciamo così diabolica, gridata nel titolo di apertura del Riformista di Piero Sansonetti, si è scoperto che pochi giorni fa è stato concesso da Palazzo Chigi il finanziamento di un maxi parcheggio controverso di Benevento per 7 milioni di euro. Potrebbero sembrare pochi, come i giorni che mancano a martedì prossimo, ma sono pur sempre quasi 14 miliardi delle vecchie lirette. E hanno pur sempre un loro significato in quello che potrebbe anche essere chiamato il mercato dei costruttori politici a vari livelli, nazionale e locale.

 

 

 

 

 

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