Encomiabilmente irriducibile anche a 96 anni di età nella voglia o abitudine di scommettere sul
futuro, Eugenio Scalfari ci ha appena informati dalle colonne di Repubblica di avere “puntato le mie fishes sulla presidenza politica di Conte e su quella religiosa di Francesco”.
Del Papa il fondatore di Repubblica è notoriamente ammiratore e amico da tempo, forse anche raccogliendo direttamente o indirettamente da lui le notizie di prima mano che il suo giornale pubblica spesso sulle scosse vaticane in corso, di natura per fortuna non fisiche ma solo
cardinalizie, finanziarie e giudiziarie. Di Conte -Giuseppe Conte, presidente del Consiglio- il veterano del giornalismo politico italiano ha appena cominciato una frequentazione diretta con un lungo incontro sui massimi sistemi, anche quello solare, prenotandone un altro in cui parlare pure del Pontefice.
Dobbiamo all’incontro con Conte e al rapporto fattone ai lettori da Scalfari la conferma dell’impressione
personalmente, e modestamente, ricavata di una sponsorizzazione a termine, non piena, della rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale recentemente auspicata dal presidente del Consiglio. “Conte vorrebbe -ha riferito testualmente
Scalfari- che Mattarella prolungasse di almeno un anno la sua funzione, come fece a suo tempo Giorgio Napolitano”. Non sarebbe una cattiva soluzione della corsa al Quirinale già cominciata dietro le quinte col solito, largo anticipo rispetto alla scadenza dei primi mesi del 2022, quanto terminerà il mandato del presidente in carica. A Camere invariate ma destinate dopo un anno ad essere rinnovate a ranghi ridotti di un terzo dei seggi, sarebbe logico e persino onesto che alle nuove, con piena e nuova legittimazione, fosse lasciato il compito di una soluzione organica della successione al vertice dello Stato, proiettata verso il 2030.
Ma se Mattarella non ne volesse sapere, come Scalfari ha anticipato o confermato per informazioni -credo- dirette, considerando i buoni rapporti che ha con l’interessato, che cosa si potrà fare o potrà accadere? Ne parleranno lo stesso Scalfari e Conte, si presume: alla faccia, alle spalle e quant’altro
di tanti altri che si ritengono
protagonisti, azionisti e chissà cos’altro del mercato politico e istituzionale italiano, a cominciare naturalmente dai poveri, sprovveduti elettori. Che, d’altronde, nella scelta del capo dello Stato non possono mettere bocca, come si dice, perché l’elezione non è diretta, come molti vorrebbero che finalmente e giustamente diventasse, visto il ruolo crescente dell’inquilino del Quirinale nella fluidità, a dir poco, degli equilibri politici prodotti da partiti, movimenti e schieramenti di sempre più incerto indirizzo.
Ripreso da http://www.startmag.it
con lo storico esponente liberale ucciso a bastonate dai fascisti, mi ha colpito il modo in cui al Foglio di Giuliano Ferrara e Claudio Cerasa hanno contrapposto alcune sue parole alla svolta annunciata, adombrata, propostasi -come preferite- da Matteo Salvini. Che, forte dei consigli già ricevuti da Marcello Pera, tentato dalla scommessa sull’evoluzione della Lega dopo le delusioni procurategli da Forza Italia, ha condiviso “la necessità di una rivoluzione liberale”.
aggravata dalla pandemia virale. Ebbene, anche se nell’articolo non si trovano parole di Amendola specificamente
riferite alle posizioni neo-liberali di Salvini e del suo partito, l’auspicio del ministro per ampie convergenze parlamentari sul documento predisposto dal governo è stato contrapposto dal Foglio ad “una nota critica sul Revocery fund” diffusa il 7 ottobre dal gruppo leghista del Parlamento Europeo. Nelle cui “conclusioni” si sostiene che “ci sarà grazie al Recovery un vincolo esterno smile alla Troika per modalità ricattatorie (ti concedo di spendere i tuoi soldi e forse una mancia se fai quello che ti dico io)”.
all’Europa sarà difficile continuare a parlare con una certa credibilità. Più che a Pera, o al governatore della Banca d’Italia appena espostosi sul Corriere della Sera con un invito a tutti a “cambiare passo”, Salvini rischia di apparire sensibile alla filosofia dell’amico sovranista Paolo Del Debbio. Che sulla Verità ha dato del “matto” a chi “spera nei soldi europei”.