Non dubito che abbia avuto il suo peso l’annuncio affrettato e “superficiale” -si è detto al Nazareno- dei cosiddetti Stati Generali dell’Economia nel conflitto esploso fra il Pd e Giuseppe Conte. Su cui Emilio Giannelli nella vignetta di prima pagina del Corriere della Sera fa dire al segretario del Pd Nicola Zingaretti che “non ha ancora capito se Conte è un professore dato in prestito alla politica o una politica data in prestito al professore”.
Ci sarà pure stata nel Pd la paura di una frittata destinata non a rafforzare, come pensava Conte, ma a indebolire la posizione dell’Italia nei rapporti con Bruxelles. Dove per concederci
i crediti e i finanziamenti a fondo perduto per la ripresa aspettano giustamente di sapere come esattamente li vogliamo impiegare, con quali piani e quali riforme che siano un po’ meno generici di quel “piano Colao” così riassunto dal Sole-24 Ore in prima pagina: “Infrastrutture e incentivi alle imprese”, finalizzati anche a fare rientrare in Italia quelle che se ne sono andate via.
A costo, tuttavia, di sembrarvi un rompiscatole o persino un retroscenista – che è una specialità della quale ho sempre diffidato per la facilità con la quale chi la pratica si procura smentite dagli interessati e poi dai fatti- penso che ci sia pure dell’altro dietro e dentro quel conflitto, magari riconducibile anch’esso al protagonismo ormai sistemico del presidente del Consiglio, almeno da quando l’emergenza virale lo ha portato quasi ogni sera nelle nostre case con la televisione, ma ad un protagonismo non fine a stesso, funzionale invece a qualcosa di meno imminente ma più scomodo, o pericoloso, per i suoi interlocutori politici.
Ormai si parla e si scrive sempre più frequentemente- a dispetto delle “cazzate” lamentate
sul Fatto Quotidiano nella vignetta di Riccardo Mannelli- di un possibile “partito di Conte”, come si scrisse a suo
tempo di un partito di Mario Monti, poi realizzato davvero alla vigilia delle elezioni politiche del 2013 dall’allora presidente del Consiglio. Che era giunto pure lui a Palazzo Chigi all’improvviso, prelevato quasi di peso dalla sua Università Bocconi, a Milano, per sostituire un Silvio Berlusconi travolto non ho ancora ben capito se più da una crisi vera crisi finanziaria o dalle antipatie e diffidenze che si era procurato a Berlino e a Parigi. E ciò nonostante o proprio a causa della mania del Cavaliere di scherzare con tutti e produrre barzellette in quantità industriale nella presunzione di riuscire così simpatico, o di non dispiacere a nessuno.
Di un futuribile partito di Conte, prodotto forse dalla stanchezza dell’interessato di rappresentare tutti e nessuno al tempo stesso, è stata data una valutazione con una ricerca “Quorum/You Trand” commissionata da Sky Tg24. Che lo ha quotato attorno al 14,3 per cento dei voti, di cui 5 a spese delle 5 Stelle, che scenderebbero al 9,3 per cento, e il resto a scapito
soprattutto del Pd, visto che il suo stesso segretario, prima di farsi venire qualche dubbio, ha più volte accreditato
Conte come un leader di un progressismo umanista. Non parliamo poi del liberalsocialismo affidatogli, sempre generosamente, da Eugenio Scalfari. Che oggi sulla “sua” Repubblica, in concorrenza inedita con Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano, si compiaciuto del “rilancio del premier nel Paese fermo” lamentando che esso abbia “disturbato anche qualcuno del Partito Democratico, a cominciare da Franceschini”, capo della delegazione piddina al governo.
Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it
Pubblicato su ItaliaOggi del 9 giugno, pag. 4
Marco Travaglio col solito sarcasmo contrariato ha sentito e denunciato puzza d’arrivo a Palazzo Chigi del solito Mario Draghi. E di ricerca di “nuovi mestieri alternativi” per Conte, “come se non fosse già un prof e un avvocato”, ha ricordato Travaglio immedesimandosi orgogliosamente nel presidente del Consiglio ancora in carica, per niente disposto -pare anche a me- a mettersi da parte da solo, con un bel gesto liberatorio per tutti quelli che trafficano contro di lui, sopra e sott’acqua.
l’Italia dall’”estabilishment”
che la rovinerebbero, costituito dai ”Benetton, il presidente di Confindustria Bonomi, gli Elkann e il loro accentramento di potere mediatico, Giovanni Malagò” e chissà quanti altri rimastigli sulla lingua, Di Battista ha detto che, se fosse dipeso da lui, il secondo governo Conte non sarebbe neppure nato. Ed ha avvertito che “il potere contrattuale” delle 5 Stelle nell’esecutivo non è per niente “proporzionato al 33 per cento preso alle politiche del 2008”. Capito?
consolidare la sua posizione personale nell’unico modo in cui si contrapporrebbe di più al centrodestra: candidandosi al Senato nelle elezioni suppletive previste in Sardegna a novembre per sostituire una parlamentare grillina defunta. Egli punterebbe sulla rinuncia del Pd a presentare un proprio candidato. Ciò dovrebbe cementare l’alleanza giallorossa.
Massimo Garavaglia dice al Dubbio, in una intervista, che “finchè ci sarà Conte l’unità nazionale anticrisi è impossibile”. Sullo stesso giornale, affiancata, l’ex
ministra Mariastella Gelmini, fino a prova contraria capogruppo ancòra di Forza Italia alla Camera, avverte che nel suo partito sono “pronti a collaborare per aiutare il Paese, non il governo”. E come si fa ad aiutare il Paese senza aiutare pure il governo che al momento lo guida e non ha proprio nessuna intenzione di tirarsi indietro, o solo di cambiare qualcosa, magari con un rimpasto appena adombrato dal sindaco di Milano pur di centrosinistra e subito escluso dal presidente del Consiglio?
raccolta dal buon Ugo
Magri manda a dire a Conte che “ascoltare l’opposizione non può essere solo un gesto di cortesia formale” ma “deve tradursi nel concordare concretamente le scelte da fare”: vi lascio immaginare con quale entusiasmo dei pentastellati, che sono sempre fermi al Berlusconi “psiconano” di Beppe Grillo. “Se matureranno le condizioni -aggiunge l’ex presidente del Consiglio alla Stampa– per un governo diverso da questo, le valuteremo con i nostri alleati”.
in piazza a Roma- dicendo che la medicina più utile al Paese e ai suoi problemi aggravati dall’epidemia virale resta il voto anticipato per sostituire l’attuale Parlamento con uno più rappresentativo, dopo tutto quello che è accaduto
dalle elezioni di due anni fa. E poi, per quanto riguarda il confronto con Conte, se proprio questo ci tiene ad averlo con le opposizioni per muoversi in spirito finalmente unitario, “le riunioni le facciamo in streaming” perché “così gli italiani potranno giudicare”. Ci stanno?, chiede la Meloni, che si risponde: “I signori del Movimento 5 Stelle, che tanto amavano la trasparenza”, umiliando a suo tempo il povero Pier Luigi Bersani, incaricato nel 2013 da Giorgio Napolitano di fare un governo, ”adesso dicono di no, guarda caso…”.
Sera diretto da Piero Ottone, dei quali peraltro io non facevo parte, provenendo
dal Giornale d’Italia. Ma non riuscii nella missione. E ciò non perché a Montanelli non piacesse il modo di scrivere di Gervaso, che d’altronde egli aveva praticamente portato al successo associandolo come autore dei suoi libri di divulgazione storica. Semplicemente non gradiva che Gervaso accreditasse in qualche modo, secondo lui, la voce che fosse un suo figlio segreto, tanto gli assomigliava nel fisico e nello stile.
pagliacciata. E, nel tentativo di rafforzare questa sua rappresentazione, presentò tutti quelli che ne furono coinvolti come gente sprovveduta più o meno in grembiulino,, a dispetto dei gradi che portavano da militari, delle funzioni che rivestivano nell’alta burocrazia o nella politica, e del successo nelle loro professioni di giornalisti, medici e altro ancora. Lo stesso trattamento toccò a Gervaso, che ne rimase molto amareggiato. E mi toccò ancora una volta, su sua diretta richiesta questa volta, di parlarne con Montanelli. Che però era già in difficoltà di suo perché con Gelli si era una volta incontrato -tanto segretamente che non se n’era mai saputo nulla- per chiedergli una mano nell’apertura di una linea di credito al Giornale presso il Banco Ambrosiano, prima che Berlusconi ne diventasse editore risolvendo i problemi provocati dalla rottura dei rapporti con Eugenio Cefis. Grazie al quale il Giornale era potuto uscire. Pertanto solo a sentir parlare della delusione di Gervaso e del modo di rimediarvi Montanelli mi mandò quasi a quel paese.
professatogli da Gelli e, in un periodo in cui molti sembravano rassegnati a cedere al Pci, avesse involontariamente inguaiato un bel po’ di amici, fra i quali il direttore del Gr2 della Rai Gustavo Selva e Silvio Berlusconi. I quali, o convinti a iscriversi da lui o a loro insaputa, si trovarono in quelle maledette liste, con quali complicazioni vi lascio immaginare, visto che la P2 divenne sui giornali, prima ancora o diversamente dai tribunali, o nella commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dalla ex ministra democristiana Tina Anselmi, la sentina della Repubblica: un’accolita di affaristi e carrieristi nella migliore delle ipotesi, di golpisti o aspiranti tali nella peggiore.
la sua Vittoria, erano solo le donne, le farmacie per le malattie che immaginava di avere, la macchina da scrivere con cui sfornava pezzi e libri in quantità quasi industriale e le letture, particolarmente quelle di Seneca. Che egli consigliava a tutti gli amici, come ha appena testimoniato sul Messaggero anche il buon Enrico Vanzina.
Fininvest “Parlamento in”, facendogli fare “il contrappunto” al mio “punto”. E, arrivato alla direzione del Giorno, nel 1989, gli affidai una rubrica nella pagina della cultura procurandomi però una giornata di sciopero della redazione, peraltro proclamato proprio la sera in cui ero a cena nel Varesotto col presidente dell’Eni Franco Reviglio, che era il mio editore.
Consiglio ha lanciato un po’ in tutte le direzioni nella conferenza stampa a Palazzo Chigi sono stati troppi -persino sullo stretto di Messina, che è il sogno di Silvio Berlusconi- per poter essere realizzati. E rispondere all’“unità morale” riproposta dal capo dello Stato nel 74.mo compleanno molto particolare della Repubblica, festeggiato senza parate militari ma con un pellegrinaggio di Mattarella nei siti più significativi, diciamo così, dei tempi di coronavirus che stiamo vivendo, fra Codogno e l’ospedale Spallanzani di Roma.
che i suoi amici del Fatto Quotidiano gli hanno messo in mano senza accorgersi del suo aspetto caricaturale, è aumentata con i rumori provenienti questa volta non tanto o non solo dal movimento grillino sempre in travaglio, al minuscolo, quanto dal Pd. Dove il grande consigliere di quasi tutti quelli che si sono avvicendati alla segreteria, Goffredo Bettini, si è lasciato scappare a sorpresa in televisione che Conte rimane bravo, per carità, ma “non basta più”. Magari, servirebbe meglio in Campidoglio per succedere l’anno prossimo all’accidentata Virginia Raggi, pur non essendo quello il colle romano preferito forse dal presidente del Consiglio. Che, a furia di salire al Quirinale per i suoi compiti istituzionali, ne deve avere scoperto il fascino d’altronde irresistibile: ma irresistibile anche per tanti altri, compreso -secondo i retroscena delle ultime settimane- il capo della delegazione del Pd al governo e ministro dei beni culturali e del turismo Dario Franceschini.
tuttavia si stenta a immaginare il salto come un passeggero ritardatario su uno dei treni che “il capostazione” del Fatto Quotidiano fa partire alzando la paletta.
Fininvest, feci coppia con Roberto in quello che chiamammo “Punto e contrappunto”, improvvisati all’istante. Il “punto” della settimana politica lo facevo io, il “contrappunto” lui, sempre disincantato, polemico, eccentrico.
per le strade del centro di Roma, specie davanti alle farmacie che lui frequentava ossessivamente perché sempre alla ricerca di qualche medicina che lo proteggesse da mali reali o immaginari. Poi vennero a mancare anche gli incontri occasionali. Ed ora mi è arrivata la notizia della scomparsa davvero a sorpresa, come i suoi contrappunti. E ne sono davvero addolorato. Un abbraccio alla memoria, Roberto.
il cimitero, colpita per prima in Italia dal coronavirus, e l’ospedale romano Spallanzani- quanto è stata infelice la manifestazione voluta e organizzata a Roma dal centrodestra, con quel tricolore al
metraggio come la pizza, contro il governo. Che, una volta tanto, con la celebrazione dei 74 anni della Repubblica non c’entrava e non c’entra nulla, non avendo obiettivamente cercato di strumentalizzare l’evento a suo favore in un momento che certamente non è dei migliori, con tutte le tensioni che attraversano la maggioranza e gli immani problemi che l’attendono in autunno.
una giornata di protesta per il 4 luglio: quando saranno probabilmente meno rischiosi in tempi perduranti di epidemia virale gli assembramenti. Che sono stati invece usati ieri da Matteo Salvini per farsi i soliti self col pubblico a mascherine dismesse o abbassate.
Antonio Pappalardo, a dispetto dell’”avviso di sfratto” gridato su tutta la prima pagina dal compiaciuto Giornale di famiglia di Silvio Berlusconi, si sono risolti forse più in un assist per il governo che altro. Il centrodestra si è meritato quel titolo critico
di “segnale sbagliato” espresso dal Corriere della Sera. Dove non a caso, del resto, lo stesso Berlusconi ha cercato di mettere una pezza
con una lettera al miele, di apprezzamento e sostegno alle parole e ai gesti del Presidente della Repubblica. Il quale avrebbe ben meritato di essere lasciato e rispettato come l’unico, vero protagonista della festa della Repubblica nei tormentati e pericolosi tempi di coronavirus.
la postazione di Palazzo Chigi, con la sua ormai sproporzionata sovrarappresentazione parlamentare, pari al doppio di quanto in realtà esso risulti nel Paese da tempo sia con i sondaggi sia con le elezioni parziali, trova negli errori e nelle ambiguità del centrodestra un soccorso francamente immeritato.
degli affari penali pazientemente preparato dal suo predecessore in via Arenula Giuliano Vassalli e dall’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Il quale mi raccontò di avere “quasi incantenato” ad una sedia del Quirinale il suo amico magistrato quando, nel passaggio da Vassalli a Martelli, andò a esprimergli il timore di esporsi a qualche supplemento di critiche e attacchi nel mondo giudiziario per essersi occupato, sia pure di striscio, del nuovo ministro come magistrato inquirente quando i socialisti furono accusati di essersi guadagnati i voti della mafia in Sicilia. Dove proprio a Martelli il segretario del partito Bettino Craxi aveva conferito il ruolo di capolista.
immaginava, il povero Cossiga, che non sarebbe riuscito a salvare l’amico neppure portandolo via dalla Sicilia, dove a minacciarlo non erano solo i mafiosi ma -ahimè, pur per altre vie- i colleghi magistrati invidiosi della sua bravura e i politici dell’isola, a cominciare dall’allora e ancora sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Che lo immaginavano impegnato -pensate un po’- a nascondere fascicoli e a proteggere il cosiddetto “terzo livello” della criminalità mafiosa.
televisivo di Giletti che le scelte sono sempre state ugualmente di alto livello, che cosa mi fa l’ex guardasigilli e amico Claudio Martelli? Stecca nel giusto coro
delle proteste di fronte allo scenario emerso dalle intercettazioni di Palamara sollecitando praticamente il presidente della Repubblica, in una intervista alla Verità di Maurizio Belpietro, a convincere i consiglieri superiori del Palazzo dei Marescialli “da lui nominati” a dimettersi per creare le condizioni necessarie allo scioglimento anticipato dell’organo di autogoverno della magistratura.
e con lo sconcerto che ha
provocato, a cominciare dal Quirinale. Tuttavia – ha aggiunto il guardasigilli- in attesa della riforma del funzionamento del Consiglio “le regole sull’elezione saranno subito in vigore”. E’ come pretendere di costruire una casa dal tetto, come si è d’altronde già cercato di fare in Italia tentando di aggirare una vera riforma costituzionale modificando continuamente la legge elettorale. Stiamo freschi.
di protesta appositamente organizzate per oggi- a chiedere, invocare e quant’altro l’unità necessaria alla ripresa, o rigenerazione. Di cui tutti si riempiono solo la bocca, ciascuno scaricando sull’altro la responsabilità di una crisi che solo gli stolti possono negare.
