Miracolo sotto le 5 stelle, e dintorni misti di demagogia e populismo. Mentre il movimento grillino perde pezzi di elettorato e di gruppi parlamentari, in preda ad una crisi identitaria che gli impedisce persino una parvenza di congresso, e mette in crescenti difficoltà il “suo” presidente del Consiglio Giuseppe Conte nei rapporti con gli alleati di governo in Italia e
i suoi interlocutori in Europa, irrompe sulla scena l’unico tema in grado ricomporne unità e combattività. E’ la caccia, o ricaccia, come preferite, alla “casta” degli ex parlamentari. Che, fra le proteste e le derisioni del solito Fatto Quotidiano, ma
anche dei meno soliti giornali del gruppo Monti Riffeser, dopo il pronunciamento della prima commissione interna del cosiddetto “contenzioso” del Senato possono tornare a sperare di riprendere i vitalizi nella misura originaria, tagliata sino all’ottanta per cento con le forbici festeggiate due anni fa sulle piazze tra brindisi e sventolii di striscioni e bandiere.
Di quelle forbici il fantasioso vignettista della Gazzetta del Mezzogiorno Nico Pillinini ha fatto una specie di croce per metterla sulle spalle di Luigi Di Maio, deciso a portarla in giro
per l’Italia non per finirvi crocifisso, di certo, ma per inchiodarvi sopra, alla fine della partita riapertasi a Palazzo Madama, i malcapitati ex senatori che hanno osato rialzare la cresta. E che hanno messo in imbarazzo -va detto- persino la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, affrettatasi a rammaricarsi del “momento” in cui la partita si è riaperta e ad avvisare che nel successivo grado di giudizio o giustizia interna a Palazzo Madama i tagli potranno ben essere ripristinati. E l’armonia sociale tornare intatta, si fa per dire, nel Paese già messo a dura prova dagli effetti sanitari, economici e d’ogni altro tipo dell’epidemia virale.
Le dimensioni del fenomeno consistono in un risparmio, per il bilancio del Senato, di meno di tre milioni di euro su 500. Ma -mi direte- i numeri in questo campo contano poco. Conta di più la cosiddetta percezione politica e sociale del problema. La casta è casta, e per quanto composta ormai da poche centinaia di ex senatori, fra cui molti ultraottantenni, con un piede più nella fossa che altrove, non può e non deve sfuggire alla punizione che le spetta. Non parliamo poi degli ex deputati, ancora più numerosi degli ex senatori, e che vorrebbero farsi sentire pure loro ma non osano neppure affacciarsi alla finestra per evitare rimanere stecchiti.
Contemporaneamente c’è un’altra casta, questa volta non di ex ma di operatori in servizio permanente effettivo, e molto più numerosa, quella dei magistrati, che può tirare un sospiro di sollievo pur dopo il “fango” che per ammissione di molti dei suoi stessi esponenti gli è caduto addosso con la vicenda di Luca Palamara: la vicenda cioè delle carriere spartite fra le correnti al telefono. L’annunciata, promessa, minacciata, come preferite, riforma della giustizia, o quanto meno dell’elezione e del funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura, che è l’organismo di autogoverno delle toghe per metterle al riparo dalle violenze, prepotenze e quant’altro della politica, è ormai scomparsa dalle urgenze del Paese. Si è dimenticato -avevo pensato- di parlarne il segretario del Pd Nicola Zingaretti in una lunga intervista al Foglio. Ma l’esperto o “responsabile” dei problemi della giustizia del Pd, Walter Verini, ha spiegato che su certi temi la fretta è sconsigliabile. Bisogna che le soluzioni maturino, e siano naturalmente le più condivise possibili. Anche dalla casta interessata, evidentemente.
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con i grillini assegnandogli “il traguardo della legislatura”. Che dovrà pertanto arrivare alla scadenza ordinaria del 2023: cosa senz’altro utile, per carità, sia ai grillini che ai renziani, accomunati dalla circostanza di essere, diciamo così, sovrarappresentati nell’attuale Parlamento. I primi, per quanti deputati e soprattutto senatori abbiano già perduto per strada, portando ormai a Palazzo Madama la maggioranza sotto ogni livello di guardia, come ha appena dimostrato la bocciatura, nella sede opportuna, dei tagli apportati trionfalisticamente nel 2018 ai vitalizi degli ex parlamentari, continuano ad essere la forza politica più consistente delle Camere. I renziani, senza voler condividere lo sprezzo di quanti li accusano di avere più seggi parlamentari che voti, non riescono a tradurre nei sondaggi la loro pur notevole visibilità politica, con lo stesso Renzi a cavallo ogni giorno, in cifre consone al ruolo di protagonisti o di ago della bilancia che si sono proposti. Vedremo cosa succederà nelle elezioni regionali del 20 settembre prossimo, in cui il partito di Renzi potrebbe giocare anche in campo diverso dal Pd.