L’assai curiosa gara nei soccorsi agli scafisti, piuttosto che alle loro vittime

Le posizioni estreme, si sa, sono spinte dagli eventi a toccarsi e sovrapporsi. Non deve pertanto stupire né “il pugno duro” indicato con soddisfazione da Libero nel decreto legge appena varato dal governo sui soccorsi in mare, né “la misura odiosa” sparata in un titolo da Repubblica. Che nel testo del commento di Carlo Bonini è diventata “odioso cinismo” in un crescendo di sospetti, accuse e insulti anche personali, direi, alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. 

A causa appunto della premier e dei suoi ministri e collaboratori, a cominciare naturalmente dal prefetto che dirige il Viminale, “potremo addormentarci ogni sera sapendo che abbiamo reso la roulette russa con la vita di chi prende il mare fuggendo dalla disperazione una sfida ancora più impari”. “Che poi saperci feroci non ci avrà reso più forti è naturalmente un dettaglio”, ha aggiunto l’indignatissimo Bonini.

In un altro, precedente passaggio dello stesso commento “l’unico risultato”, se non addirittura il solo obbiettivo del provvedimento è indicato così: “svuotare il Mediterraneo di occhi e orecchie in grado di testimoniare o anche solo di provare a impedire che il nostro mare continui ad essere un immane e silenzioso cimitero di innocenti”. 

Di fronte a tanta odiosa e cinica -essa sì- rappresentazione dei fatti appare persino collusivo col governo, per reticenza o diplomazia, il titolo critico di Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, secondo il quale adesso è “più difficile salvare” gente per mare. O quello ugualmente polemico del Riformista su “meno salvataggi, più morti”, addirittura con un un decreto “fuori legge” cui il capo dello Stato dovrebbe quindi negare la firma, per non andare pure lui a letto col rimorso di contribuire al disastro descritto da Bonini su Repubblica. 

Tutto questo si pensa, si scrive, si grida, si denuncia  perché le navi del soccorso volontario in mare -quelle delle ong, cioè organizzazioni non governative, ma battenti bandiere di paesi con tanto di governi in carica; navi che diventano per ciò stesso in mare prolungamenti dei territori nazionali- sono da ora obbligate a prestare un soccorso alla volta, illimitato nel numero di persone da imbarcare, ma non soccorsi plurimi. Che, fra l’altro, prolungherebbero le sofferenze e i pericoli dei naufraghi già raccolti perché li obbligherebbero quanto meno a una navigazione più lunga verso il porto di sbarco. Chi non dovesse ottemperare a questo obbligo non rischierebbe peraltro la galera, ma solo misure cosiddette amministrative: dalle multe al fermo e infine al sequestro della nave. 

Il non detto o il sottinteso di tutto questo -non detto neppure dai critici, e non certo per dimenticanza ma per calcolo, per non indebolire i loro argomenti contrari- è la decisione, l’intenzione, il tentativo e quant’altro di non continuare a fare praticamente gestire l’immigrazione clandestina via mare dai mercanti di carne umana: quelli che chiamiamo  “scafisti”. 

Costoro, remunerati rigorosamente in nero naturalmente, e a tariffe mai scontate, imbarcano con la forza e la disperazione gli sventurati su imbarcazioni  di fortuna, a dir poco, destinate al naufragio in acque dove -guarda caso- sono ad attenderli le navi del soccorso volontario, non governativo. Che dopo un carico ne hanno potuti fare sinora altri e poi reclamare il diritto di scaricare tutti -guarda un altro caso- in un porto esclusivamente o prevalentemente italiano. 

Se poi qualche nave dovesse per una qualsiasi ragione, o accidenti, avvicinarsi ad una costa francese e sbarcarvi i naufraghi, magari in un porto militare ben protetto da sguardi indiscreti o controlli. dovremmo affrettarci a chiedere scusa al presidente di turno a Parigi, e a farci trattare da pezzenti e delinquenti dai suoi ministri o portavoce. 

A me tutto questo sembra assurdo. E non starò lì a consumarmi nei rimorsi reclamati dai Bonini di turno. Ai quali gli scafisti non saranno naturalmente mai grati abbastanza per i soccorsi ricevuti nei loro affari. 

Ripreso da http://www.statmag.it e http://www.policymakermag.it

Le felici stecche nell’assalto al defunto Movimento Sociale in funzione anti-La Russa

Vi sono stecche- non quelle del biliardo ma quelle del cantante o di un orchestrale, o di un giornale o giornalista, che meritano l’applauso in certe circostanze. Quando servono, per esempio, a smascherare il conformismo, o il senso comune di manzoniana memoria travestito da buon senso, come ebbe una volta a dire durante il suo primo mandato al Quirinale Sergio Mattarella.  

Una stecca lodevole, per esempio, ho considerato la decisione del Corriere della Sera di confinare in una lontana pagina interna, senza un minimo richiamo in prima, il “caso” sparato invece come una bomba nell’ordinario conflitto della politica italiana da Repubblica. Sarebbe il caso di Ignazio La Russa, “la seconda carica dello Stato” sottolineata anche in una vignetta di fuoco neppure tanto metaforico, per avere “onorato” a suo modo, tutto elettronico, il defunto Movimento Sociale nel 76.mo anniversario della sua nascita, evocato dalla sottosegretaria Isabella Rauti, ex moglie di Gianni Alemanno ma soprattutto figlia di un defunto -anche lui- esponente notissimo di quel partito, per qualche tempo anche segretario. Egli aveva una concezione  molto forte, diciamo così, della militanza politica finendo anche inquisito e processato per la strage di Brescia, ma assolto su richiesta della stessa accusa. 

Si potrebbe capire il disonore sottinteso al processo mediatico sommario al presidente del Senato, ancora orgoglioso di quello che fu il suo primo partito, se il Movimento Sociale a suo tempo fosse stato dichiarato e messo fuori legge. Ma così non avvenne mai. 

Per quanto esclusi dal famoso “arco costituzionale” inventato dal compianto Ciriaco De Mita  prima ancora di diventare segretario della Dc, i missini -come venivano chiamati dirigenti e militanti di quella forza politica- ebbero rapporti con tutti, ma proprio tutti i loro avversari: a cominciare dai comunisti. Che nel 1958 non si turarono neppure il naso alla Montanelli partecipando con loro al governo regionale siciliano di Silvio Milazzo, pur di “fottere i democristiani”, come ha ricordato Giuliano Ferrara sul Foglio in un’altra stecca sul caso La Russa che merita, secondo me, un applauso. 

Giuliano, in verità, ha ricordato anche il contributo dato dai missini, in un caso persino decisivo, all’elezione di alcuni presidenti della Repubblica facendo i nomi, in particolare, di Antonio Segni e di Giovanni Leone. Ma giovane com’è con i suoi 71 anni da compiere il mese prossimo, almeno rispetto ai miei 84 appena compiuti, il fondatore del Foglio non ha potuto testimoniare sul contributo dato dai missini anche all’elezione al Quirinale di Giovanni Gronchi, nel 1955, nella successione a Luigi Einaudi. In fondo quell’operazione, attribuita come tante altre leggende a Giulio Andreotti dietro le quinte, ma non troppo, fu un improprio antipasto nazionale del milazzismo siculo. 

Non di un antipasto ma di un dessert, per questioni solo di tempo nella sequenza dei piatti, può invece considerarsi lo scrupolo col quale nel 1984 Gian Carlo Pajetta, non certo l’ultimo dei dirigenti delle Botteghe Oscure, si precipitò ad accogliere e proteggere da ogni malintenzionato il segretario missino Giorgio Almirante in arrivo per onorare la salma di Enrico Berlinguer. Erano altri uomini, oltre che altri tempi: mica quelli miserabili di adesso, in cui al Pd così malmesso com’è sulla strada di un congresso che potrebbe persino liquidarlo senza neppure rifondarlo con un altro nome, come altri vorrebbero, è venuta l’idea di rigenerarsi all’opposizione reclamando le dimissioni di La Russa da presidente del Senato perché troppo divisivo.

Ma perché -ha giustamente chiesto Piero Sansonetti sul Riformista, in un’altra stecca da applauso- il comunista Pietro Ingrao non era una figura divisiva quando fu eletto presidente della Camera, nel 1976, precedendo la meno divisiva compagna di partito Nilde Jotti?

Con tutto il suo passato all’Unità, che sta peraltro per riportare nelle edicole, Piero ha ricordato che “il Msi fu un partito vero, di massa, democratico, che diede rappresentanza all’estrema destra e al popolo nostalgico del fascismo. Diede ricchezza alla democrazia. La rese più piena. Fece grandi battaglie. Alcune, credo, giuste. Molte sbagliate e reazionarie. Le perse tutte. Non è un demerito”. 

“La Russa fascista?”, si è chiesto Piero davanti a tanto scandalo gridato per deporlo dalla seconda carica dello Stato. “Forse sì”, ha risposto con franchezza Sansonetti aggiungendo però: “Ha una storia ricca e robusta. Di combattente politico. Non nasce da una colata d’acqua fresca. Come molti leader politici di oggi. E’ una colpa? No, è un merito. L’antifascismo se esiste, è solo questo culto della libertà e della tolleranza. Verso tutti”. Come dare torto a Piero senza arrossire un pò di vergogna? Ve lo chiedo a prescindere dall’amicizia personale con lui. E per una questione culturale, prima ancora che politica.

Pubblicato sul Dubbio

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