La manovra finanziaria del governo Meloni si guadagna il nome di caccia al cinghiale in città

Povero Conte, al maiuscolo. Giuseppe,  secondo l’anagrafe forzata al plurale da Donald Trump nei lontani Stati Uniti quando da presidente  ne sponsorizzò il secondo governo, nel 2019. 

Nei ritrovati panni di avvocato del popolo, dopo la sconfitta elettorale del 25 settembre, e di concorrente del Pd alla guida della sinistra italiana, l’ex presidente del Consiglio aveva pensato di avere ricevuto da Gorgia Meloni il regalo di una manovra finanziaria impopolarissima per l’elettorato rimasto grillino e per quello recuperabile la prossima volta. Ciò a causa di tutti quei percettori del cosiddetto reddito di cittadinanza “sistemati per le feste”, secondo il titolo odierno del manifesto. Percettori di cui Conte ha praticamente costretto a prendere le difese persino il Pd, che a suo tempo aveva votato contro un provvedimento avventurosamente annunciato dal balcone di Palazzo Chigi per sconfiggere, abolire e quant’altro la povertà. Vasto programma, avrebbe detto anche  la buonanima del generale Charles De Gaulle. 

Con un gioco di prestigio completamente sfuggito alle antenne del ritrovato avvocato del popolo, distratto dai soliti fuochi artificiali che accompagnano le leggi di bilancio, tra emendamenti annunciati e poi persi per strada, votazioni al cardiopalma in commissione, bracci di ferro fra maggioranza e opposizioni, e all’interno sia dell’una che delle altre, quella furbacchiona della presidente del Consiglio ha introdotto nella manovra all’ultimo momento la caccia ai cinghiali nelle città dove essi scorrazzano tranquillamente da tempo, a volte persino più disciplinatamente dei pedoni umani perché attraversano le strade sulle strisce perdonali prima o dopo, o prima e dopo avere rivoltato rifiuti, aiuole e giardini di condomini. Qualche giorno fa un esemplare di grosse dimensioni è stato investito da un’auto di fronte a casa mia, a Roma. Sono rimasto una volta tanto ammirato dalla prontezza dei soccorsi dell’asl, dei Carabinieri e dei curiosi, con relativi ingorghi di traffico. 

Di colpo la manovra finanziaria del primo governo Meloni, e di tutto ciò che ne consegue nella  sua rappresentazione politica e ideologica, ha cambiato fisionomia e nome. Dalla manovra contro i deboli, gli umili, i poveri, trattati con spietata disumanità dalla destra, quella della Meloni e alleati più o meno disciplinati e concordi è diventata “la manovra del cinghiale”, come ha titolato La Stampa, ma un pò anche Repubblica con una informazione più completa. Le bestie ammazzate “si potranno mangiare”, ha aggiunto il giornale fondato dal compianto Eugenio Scalfari. E speriamo che si proceda al consumo con tutti i controlli sanitari necessari. 

Per quanto si possa essere animalisti come i colleghi del manifesto, affrettatisi a denunciare una “caccia senza regole” e “una pericolosa follia normativa”, per non parlare del giubbotto antiproiettile consigliato in televisione da Marco Travaglio per il rischio che potremmo correre tutti  di essere feriti o ammazzati al posto degli animali, sospetto -per Conte, elettori, stimatori e nostalgici- che la caccia ai cinghiali nelle città sia più popolare, o meno impopolare, come preferite, di quella deprecata e quant’altro ai percettori spesso troppo furbi del reddito di cittadinanza. 

L’albero di Natale dell’avvocato del popolo, che lo ha a lungo contemplato compiacendosi della propria astuzia e fortuna insieme, ha perso di un colpo gran parte delle palle e luminarie di cui era stato imbottito. Brava la Meloni, per quanto forse un pò troppo gracile con quella febbre che si procura ogni volta che indossa qualche abito scollato, o non si copre abbastanza quando esce da casa.

Ripreso da http://www.policymakermag.it 

Zelensky vola da Biden ma Berlusconi annuncia di “lavorare” in Italia per la pace in Ucraina

Sarò troppo malizioso, sino all’indisponenza verso la collega del Corriere della Sera Paola De Caro, che segue abitualmente Silvio Berlusconi e ne ha appena raccolto l’ultima, cioè la penultima intervista centrata col titolo sulle “riforme strutturali” in qualche modo opposte alle miserie della manovra finanziaria, o legge di bilancio, all’esame abitualmente accidentato ormai del Parlamento. Ma sospetto che quel diavolo dell’ex presidente del Consiglio se ha sentito il bisogno di farsi leggere sul più diffuso giornale italiano, dopo tutto ciò che di recente ha detto direttamente o lasciato scrivere dei suoi umori, lo ha voluto per ciò che ha dichiarato solo omsoprattutto a conclusione dell’intervista. E su cui, benedetti colleghi, al Corriere non hanno ritenuto di spendere una parola nella titolazione. 

“Che scenario vede oggi?” è stato chiesto a Berlusconi a proposito della guerra in Ucraina sulla quale “Lei ha più volte detto che servirebbe uno sforzo maggiore per una trattativa”. In verità, il Cavaliere ha detto sull’argomento molte altre cose, e per nulla scontate come l’auspicio di una pace, finalmente. Ma non torniamoci sopra. E’ tutto piuttosto noto per rivangare le parole di Berlusconi e le polemiche da esse provocate all’interno persino del suo stesso partito, non estranee alla successiva uscita, per esempio, dell’allora ministra forzista Mariastella Gelmini, rimasta tuttavia nel governo di Mario Draghi. 

Vedo -ha risposto Berlusconi- uno scenario molto preoccupante, nel quale troppe volte sento minacciare con leggerezza addirittura l’uso delle armi nucleari. La pace è necessaria e urgente. Ma la pace non può essere neppure un modo per dividere l’occidente. Ci sto lavorando, vedremo”.

“Ci sto lavorando”, ripeto. E penso alle mani che sarà stato forse tentato di mettersi fra i capelli il mio amico Antonio Tajani, pur conoscendo la sua fedeltà, anzi devozione, verso Berlusconi. Cui d’altronde ehi deve, più ancora che alla presidente del Consiglio e al presidente della Repubblica, l’una proponendola e l’altro conferendola, la prestigiosa titolarità della Farnesina. Dove anche qualche navigatissimo ambasciatore starà tremando pensando alla imprevedibilità assoluta del Cavaliere, capace di non sentirsi minimamente in imbarazzo -come è accaduto d recente- promettendo accanto alla fidanzata “un pullman di troie” ai giocatori del suo Monza in caso di vittoria sulla Juventus o sul Milan, figuriamoci su entrambi. 

Anziché malizioso, come all’inizio, ora sarò troppo ingenuo, ma penso che Berlusconi in un approccio con l’amico Putin per farlo finalmente ragionare abbia persino qualche carta in più del presidente americano Joe Biden, e degli omologhi di Francia, Cina, India  e naturalmente Turchia, per parlare dei “laici”, senza sconfinare nel Papa sorpreso a piangere più volte parlando della “carissima” Ucraina devastata dalla guerra.  Forza, Cavaliere. Ci e li sorprenda tutti in questo epilogo d’anno, e sulla soglia del nuovo. 

Pubblicato sul Dubbio

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