Chi poteva immaginare che il 2020 sarebbe stato peggiore di un 2019 che Giuseppe Conte, ancora fresco, o quasi, di rinnovo del suo contratto politico a Palazzo Chigi con una maggioranza diversa, anzi opposta, a quella di prima, aveva tentato di venderci per “bellissimo” ? Eppure il 2020 si è rivelato davvero orribile con l’esplosione della pandemia e di tutte le altre emergenze ch’essa ha prodotto, compresa quella politica.
Graffiarne gli sviluppi, giorno per giorno, spulciando gli eventi per quelli che erano e per come risultavano dalle rappresentazioni dei giornali, non è stato piacevole. Eppure ripassarli potrebbe essere utile per apprezzare l’anno nuovo, che ha paradossalmente nella stessa negatività di quello che è trascorso, la premessa -spero- di essere migliore. Sarà ben difficile trovarselo peggiore, ora che è arrivato il vaccino della liberazione dalla pandemia e della possibile restituzione di tutti noi ad un minimo di normalità.
Anche i temporali politici nei quali si è chiuso l’orribile 2020 potrebbero rivelarsi utili a un chiarimento e alla restituzione della politica a quella ordinarietà obbiettivamente perduta da un bel po’ di tempo in un avvicendarsi fantasioso di Repubbliche: dalla prima alla seconda, alla terza e addirittura alla quarta, cui sono state titolate trasmissioni televisive.
Eppure viviamo sempre nella stessa Repubblica, solo più vecchia di quella che nacque nel 1946 fra tante speranze ravvivate dai costituenti alla fine dell’anno dopo. Forse è invecchiata male, ma ne siamo responsabili un po’ tutti, a cominciare da quelli -tanti, troppi- che hanno voluto deresponsabilizzarsi disertando le urne e facendo diventare quello degli astensionisti il principale partito italiano. In questo vuoto di responsabilità si sono insediati e sono cresciuti paradossalmente altri vuoti, cui altrettanto paradossalmente è toccato il compito di governare. In fondo, cambiare dipende solo da noi, più e prima ancora che dagli altri. f.d.
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sta cercando di trattenere sino a quando non sarà approvato dal Parlamento il piano d’impiego dei fondi europei della ripresa. Ma poi le loro dimissioni
obbligherebbero davvero Giuseppe Conte a una decisione: dimettersi ed aprire ufficialmente la crisi, con tutti i riti e rischi del caso, o cercare di imitare Giulio Andreotti. Che nel 1990 -come ha significativamente ricordato oggi Il Fatto Quotidiano filocontiano- sostituì ben cinque ministri democristiani dissidenti, fra i quali Sergio Mattarella, e col consenso dell’allora capo dello Stato Francesco Cossiga continuò sulla sua strada.
presidente del Consiglio. Uno è Massimo D’Alema, secondo il quale Conte è l’uomo più popolare d’Italia e Renzi il più impopolare. L’altro è Goffredo Bettini, marchigiano di origini aristocratiche, 68 anni compiuti il 5 novembre scorso, entrato nelle
cronache della verifica con interviste quasi quotidiane- l’ultima è di oggi al Corriere della Sera- tese a indirizzare il suo partito, il Pd, pur essendo lui solo uno dei 217 esponenti della direzione nazionale. A promuoverlo mediatore è stato addirittura Renzi, che ha rivelato di avergli mandato biglietti, lettere, appunti e quant’altro, facendo forse chissà quali e quante telefonate, per cercare di smuovere da arroccamenti, ambiguità e quant’altro non solo o non tanto il segretario del Pd quanto Conte in persona. Di cui
pertanto sarebbe diventato il consigliere principale e fra i più adoranti, visto che non si lascia scappare occasione, come quella di oggi sul Corriere, per tessere le lodi del presidente del Consiglio e descrivere con tinte fosche qualsiasi scenario che non lo contempli ancora a Palazzo Chigi.
da Bettini e non
capisco perché, visto che non ha nessun incarico nel partito”. Minzolini ha anche attribuito a Bettini un soprannome che si sarebbe guadagnato in romanesco nel Pd: “er monaco”, speriamo senza allusioni a Rasputin, che fece una brutta fine, a dir poco, senza parlare della corte dello Zar che aveva frequentato.