Vittoria Leone, la moglie del presidente della Repubblica che nel 1978 fu costretto alle dimissioni
anche o soprattutto per avere cercato
di salvare Aldo Moro dalla morte comminatagli dalle brigate rosse, ha clamorosamente riaperto il caso in una lunga intervista ad Aldo Cazzullo, per il Corriere della Sera.
Oltre a confermare che, nonostante la linea della fermezza adottata dal governo allora in carica. condizionato dall’appoggio esterno del Pci di Enrico Berlinguer, il marito aveva predisposto la grazia per la terrorista Paola Besuschio, scegliendola in un elenco di tredici detenuti con i quali i sequestratori del presidente della Dc
avevano reclamato lo scambio, la moglie dell’allora capo dello Stato ha rivelato di avere ricevuto una segnalazione sul covo brigatista dove Moro era rinchiuso.
La segnalazione, per lettera anonima, fu trasmessa dalla stessa signora Moro al Ministero dell’Interno, dove poi, a tragedia più che consumata, le rifiutarono la restituzione dello scritto perché smarrito.
Ricordo ancora con nettezza, da parte mia, la sera in cui Bettino Craxi in un ricevimento cui ero stato invitato commentò, qualche tempo dopo la tragedia, la notizia appena pervenuta per agenzia, e consegnatagli da un collaboratore, della individuazione della prigione di Moro in un appartamento di via Montalcini, a Roma. “Allora aveva ragione Giovanni”, commentò Craxi, in quel momento presidente del Consiglio, riferendosi evidentemente all’informazione pervenuta nei giorni del sequestro alla moglie di Giovanni, appunto, Leone.
La rivelazione della vedova Leone, Vittoria Micchitto, 92 anni ben portati, fa il paio, dichiamo così, con una notizia emersa dalla lunga vicenda processuale per la strage di via Fani, lo sterminio cioè della scorta di Moro, il suo sequestro e infine la sua morte, dopo 55 giorni di prigionia: una rivelazione dell’allora vice segretario della Dc Remo Gaspari. Che a fine aprile del 1978 fu informato del covo di via Montalcini da un anonimo sul portone dell’edificio in cui abitava e teneva il suo ufficio a Roma, in viale Giulio Cesare. Egli ne riferì a voce al segretario del partito Benigno Zaccagnini e, su richiesta di questi, al Ministero dell’Interno con una lettera, persasi pure questa misteriosamente fra le carte, dopo che il titolare del dicastero del Viminale, Francesco Cossiga, l’aveva passata al capo della Polizia.
Ma non è finita qui la diabolica sequenza di fatti gravi e inquietanti di quel tragico 1978. Prima ancora che la prigione di Moro fosse segnalata al vice segretario della Dc e -ora sappiamo- alla moglie del presidente della Repubblica, un economista democristiano destinato a fare una grande carriera politica, sino a ricoprire due volte la carica di presidente del Consiglio e una volta persino quella di presidente della Commissione dell’Unione Europea, rasentando nel 2013 l’elezione al vertice dello Stato, aveva raccontato di avere appreso nei pressi della sua Bologna, durante una seduta spiritica, il nome di una località decisiva per venire a capo del sequestro di Moro: Gradoli. Che non era il paesino in provincia di Rieti dove fu sguinzagliata la Polizia, ma il nome di una strada romana nella parte settentrionale della città, una traversa di via Cassia, dove il capo brigatista Mario Moretti dirigeva l’operazione del sequestro di Moro da un appartamento sfuggito, diciamo così, nonostante altre segnalazioni, alle indagini. Poi, e a sequestro ancora in corso, se ne sarebbe scoperta l’esistenza per un allagamento che sarebbe quanto meno ingenuo considerare accidentale.
Tutto questo che cosa significa ? Che qualcuno dall’interno delle stesse brigate rosse, o ambienti limitrofi, non condividendo evidentemente l’operazione o. quanto meno, l’epilogo cui ad un certo punto si era deciso di indirizzarla uccidendo anche l’ostaggio, cercò in vari modi di far pervenire a livello politico, diciamo così, notizie utili alle indagini e ad una conclusione di tutt’altro tipo del sequestro. E questo senza parlare delle segnalazioni, documentate dall’ultima commissione parlamentare d’inchiesta, quella presieduta da Giuseppe Fioroni, del Pd, e pervenute ai servizi segreti dal Medio Oriente sull’imminenza del sequestro a Roma.
In queste condizioni, completate dalla rivelazione alla quale si è decisa donna Vittoria nel contesto
di un’intervista rievocatrice della sua vita con Giovanni Leone, si deve avere una bella faccia tosta a negare ancora l’evidenza. Che cioè Moro -come pure Leone per l’interruzione del suo mandato di presidente della Repubblica, assediato politicamente e mediaticamente sino alle dimissioni, colpevole a quel punto solo o soprattutto di avere cercato di salvare la vita al suo amico ed ex assistente universitario, come ha ricordato donna Vittoria nella sua intervista- non fu vittima soltanto del terrorismo. Fu vittima di un complotto, viste le circostanze che aiutarono i terroristi a completare la loro sciagurata impresa -fu detto- contro “il cuore dello Stato” e una “geometrica potenza di fuoco”.
Ripreso da http://www.policymakermag.it
Conte rispondendo, nel giorno
della festa di San Francesco, patrono d’Italia, alle domande su una lettera di Matteo Renzi appena pubblicata dal Corriere della Sera, scritta nella presunzione, lamentata appunto dal capo del governo, di essere un “fenomeno”, pronto
“ogni giorno” a criticare
l’inquilino di turno di Palazzo Chigi. E ciò, magari, per rovesciarlo e prenderne il posto, come ha ricordato autobiograficamente Enrico Letta commentando anche lui la lettera di Renzi, che gli ha un po’ ricordato ciò che diceva del suo governo l’ancora sindaco di Firenze appena diventato segretario del Pd.
di vita del movimento di cui è ancòra formalmente il capo. Da una maratona elettronica alla quale si è sottratto, forse non a caso, quello che è diventato il maggiore contestatore di Di Maio, cioè l’ex deputato Alessandro Di Battista, è venuto fuori proprio sulla testa del “capo” formale del movimento uno scontro a distanza fra Beppe Grillo in persona e il pentastellato più alto in grado sul piano istituzionale, che è il presidente della Camera Roberto Fico.
disposta ormai a tutto pur di non perdere questo ruolo, e quindi anche a passare dalla mattina alla sera dall’alleanza con la Lega di Matteo Salvini a quella col Pd di Nicola Zingaretti e ora anche con l’Italia Viva dell’ex “ebetino” -ricordate anche questo?- Matteo Renzi. E pazienza se Di Maio ha resistito e resiste ancora a questa “evoluzione”. Verrà evidentemente il tempo per regolare i conti anche con lui.
praticamente a sorridere a Conte come nel momento di riceverlo nel suo ufficio di Montecitorio dopo il reincarico alla guida del governo. Egli ha scritto che “i momenti più difficili” del movimento pentastellato “non sono mai venuti da altri partiti o da una legge che non si riusciva a realizzare, ma dall’interno, da noi stessi, dalle difficoltà di gestire una cosa che è diventata più complessa”. “Le difficoltà più grandi -ha insistito Fico- siamo stati noi stessi”: altro, quindi, che Matteo Salvini ieri e Nicola Zingaretti e Matteo Renzi, separati, in questo faticoso avvio del secondo governo Conte, o Bisconte.
a quello della “promozione a pieni voti” di Paolo Gentiloni al Parlamento di Strasburgocome commissario agli affari economici dell’Unione Europea- la notizia dell’autosospensione di Renata Polverini dal gruppo di Forza Italia alla Camera è indicativa dell’aggravamento della crisi nel partito di Silvio Berlusconi dopo l’uscita di Matteo Renzi dal Pd e la costituzione dei gruppi parlamentari di Italia Viva.
di consumare la sua rottura con Forza Italia, dove era approdata negli anni scorsi, tramite il passaggio all’allora Pdl, dai lidi della destra di Gianfranco Fini, dopo avere guidato il sindacato Ugl-ex Cisnal e il governo della regione Lazio.
di partito che lo affiancano liquidare un suo passaggio a Italia Viva con la sufficienza e, diciamo pure, il disprezzo usato nei riguardi della senatrice Daniela Conzatti, di Rovereto, affrettatasi a aderire al nuovo movimento renziano.
mentre le cronache, senza scomodare la Storia con la maiuscola, li contrapponevano e li contrappongono in quella che i giornali chiamano “la guerra”, sia pure commerciale, fra gli Stati Uniti e l’Europa. In cui l’Italia è pienamente e dannatamente coinvolta. E’, in particolare, la guerra dei dazi, che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump è riuscito a farsi autorizzare dall’Organizzazione Mondiale per il Commercio contro i prodotti europei per rifarsi dei danni che avrebbe subito il suo Paese a causa degli aiuti comunitari al consorzio franco-tedesco Airbus, concorrente dell’americana Boeing.
del presidente del
Consiglio Giuseppe Conte. Ce lo impedisce lo scrupolo col quale il professore ha fatto allontanare quella povera ed allegra, pure lei, “yena” televisiva che aveva osato tentare il goloso ospite americano porgendogli una piccola confezione di grana padano, minacciato con i vini e altro ancora dai dazi americani in arrivo.
a fare i conti, cioè a soccombere, con Hitler. E poi con Stalin. Lui avrebbe trattenuto ben bene gli americani a casa loro, a difendere i confini già allora minacciati dagli “assalti” di quei
morti di fame dei messicani e simili, come vengono considerati da gran parte dei suoi elettori. Che peraltro non sono abbastanza per superare nelle urne quelli del partito avversario ma sufficienti, con le leggi americane, a mandarlo e mantenerlo lo stesso dov’è. E dove potrà permettersi di gustarsi lo stesso i formaggi e i vini italiani, francesi e altro ancora, pur con tutti i dazi di cui li avrà gravati perché, tanto, non li pagherà di tasca propria.
alla esasperazione, e per giunta anche superstizioso, tanto da rifiutare la firma ad atti importanti se gli arrivavano sulla scrivania di venerdì, come avvenne per la controfirma del trattato di pace, che peraltro non aveva condiviso del tutto come capo provvisorio dello Stato ma che l’Assemblea Costituente aveva ratificato, De Nicola non avrebbe resistito un istante alle abitudini un po’ troppo rissaiole e scomposte -diciamo la verità- della politica di oggi.
professionalmente nello studio legale di Enrico De Nicola, a gestire da presidente della Repubblica la fase più drammatica della sua storia: i 55 giorni trascorsi, dal 16 marzo al 9 maggio del 1978, fra il sequestro, la prigionia e infine l’uccisione di Aldo Moro. Al cui posto, peraltro, era capitato proprio a Leone di essere eletto al Quirinale nel dicembre 1971, dopo una lunga e sfortunata corsa di Amintore Fanfani e una tormentata votazione nei gruppi parlamentari della Dc, chiamati a scegliere fra la candidatura, appunto, di Leone e quella di Moro, battuta per cinque voti soltanto.
dedicato a Giuseppe Conte una caricatura che lo mette in concorrenza con Matteo Renzi. Che è un personaggio non molto popolare nella redazione e fra i lettori del giornale diretto da Marco Travaglio. Gli stanno ancora facendo i conti -tanto per farsene un’idea- su quanto sia costato alle malferme casse dello Stato il presunto o reale capriccio di quell’aereo presidenziale rimasto più a terra che per aria.
troppo variegata squadra e maggioranza di governo, si è visto a Palazzo Chigi quando si è messo a polemizzare persino con le “ Jene” televisive che hanno improvvisato una protesta, tutto sommato divertente ed anche efficace, contro l’ospite Segretario di Stato americano Mike Pompeo. Al quale, decisamente più spiritoso del padrone di casa perché vi ha riso sopra, è stata offerta una piccola confezione di grana padano per protesta contro i pesanti dazi con i quali il presidente degli Stati Uniti vorrebbe praticamente toglierlo via dal mercato a stelle e strisce.
il merito di avere difeso gli interessi nazionali meglio del presidente del Consiglio, “col cuore” più che con “la diplomazia” dettata evidentemente dal riguardo verso chi, da oltre Oceano, lo chiama per none, pur storpiandoglielo con quel “Giuseppi”.
approvata dal Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi può ben dire di avere vinto la prima partita giocata dietro e davanti alle quinte con la sua Italia Viva. E’ stata la partita dell’Iva, secondo il gioco di parole che ha ispirato il solito, felice titolo di copertina del manifesto.
preso alla sprovvista dall’iniziativa di uno dei suoi ultimi predecessori a Palazzo Chigi, si propone realisticamente di “sentire Renzi ogni volta che sarà necessario”, e di un Franceschini che, di rimando, commenta: “Così salta tutto”. E che, secondo altre ricostruzioni, aveva fronteggiato nel vertice notturno di maggioranza l’offensiva dei renziani, rappresentati soprattutto dalla ministra dell’agricoltura Teresa Bellanova, accusandoli di collusione, o qualcosa del genere, con gli evasori dell’Iva.
in modo decisivo a farlo nascere. E’ un po’ quello, paradossalmente, che il su un altro versante il vignettista della Gazzetta del Mezzogiorno Nico Pillinini fa sarcasticamente dire ai sedicenni che apprendono dalla televisione il proposito quasi unanime dei partiti di farli votare modificando in tutta i vincoli costituzionali dei 18 e 25 anni, rispettivamente, per la Camera e il Senato: “Vogliono essere mandati a quel paese anche da noi?”.
alle intenzioni di Mattarella di anticipare la scadenza istituzionale del 2022 per cautelare il Paese dal rischio di un presidente della Repubblica di centrodestra, da Silvio Berlusconi in su o in giù, o di lato, mi sembra francamente azzardata, a dir poco. Essa presupporrebbe una concezione troppo ingiustamente luciferina e disinvolta del presidente in carica, di cui non si può distorcere sino a questo punto il silenzio di cortesia e prudenza opposto alla sortita inusuale -ripeto-del presidente del Consiglio in carica per una sua rielezione, ordinaria o anticipata che possa essere o rivelarsi.