In questo lungo, interminabile, a questo punto anche stucchevole conto politico alla rovescia in corso non si sa più nemmeno verso che cosa -la crisi? le elezioni anticipate? le elezioni fra un anno? un rimpasto? un rimpastone? un ribaltone? un ribaltino? uno scambio di tarallucci con o senza vino?- si è cercato ultimamente di distrarre o incantare il pubblico, come preferite, con la favola di un punto quasi improvvisamente trovato di riferimento forte, sicuro, capace di domare ogni tipo di fuoco. Altro che il generale Agosto dei vecchi tempi, nascostosi o nascosto chissà dove, magari costretto alla fame dai tagli apportati alla pensione “d’oro” da lui “rubata”, secondo il linguaggio grillino, ai signori della vecchia Repubblica per i tanti servizi resi quando era in servizio a disciplinare l’arrivo e la partenza dei governi balneari.
Parlo della favola del Conte, al maiuscolo o al minuscolo, come preferite, che “zitto zitto”, come ha appena raccontato Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano più celiando che condividendo le analisi entusiastiche fatte, in particolare, da Eugenio Scalfari su Repubblica e da Paolo Mieli sul Corriere della Sera, di quel “pallino gonfiato” da lui schiaffato invece in una vignetta in fondo alla prima pagina di domenica scorsa.
Il Conte che- zitto zitto, ripeto- ha fregato la vittoria elettorale di Matteo Salvini nelle elezioni europee del 26 maggio, poi la conferma digitale di Luigi di Maio a capo del Movimento delle 5 stelle, pur dopo i sei milioni e più di voti perduti in un anno, e va in giro per il Paese e per i palazzi della Politica fresco come un gelato e pieno di alternative in tasca, o nel taschino pur già occupato dal solito elegante fazzoletto, per sopravvivere ad ogni evenienza.
Mancava solo che sui tabelloni delle stazioni ferroviarie ieri affollati dei ritardi imposti ai treni da quegli stronzi -scusate la parolaccia- degli anarchici, o chi per loro, che avevano bruciato le centraline dell’alta velocità ferroviaria, qualche buontempone s’inventasse un solo convoglio in perfetto orario, in partenza e in arrivo: quello del presidente del Consiglio in carica: la Freccia del Conte.
Eppure, a conforto dello storico Ernesto Galli della Loggia, che ha dovuto accettare un passaggio offertogli con una intervista da Libero per smentire il suo amico ed ex direttore del Corriere
parlando ancora di Conte come di un premier
“per caso o solo di facciata”, un istituto dei sondaggi fra i maggiori -SWG- ha smascherato romanzieri, favolisti, pittori di corte e simili. Ed ha rivelato che dal 4 giugno scorso al successivo 15 luglio, cioè fra la vittoria elettorale di Salvini alle elezioni europee di fine maggio alla decantata esplosione di popolarità e di prestigio di Conte, quest’ultimo è passato da una fiducia del 58 ad una fiducia del 48 per cento del pubblico. Dieci punti in meno in un mese non mi sembrano francamente pochi, per quanto il 48 per cento -lo ammetto, per carità- sia di tutto rispetto.
Le cose, nei sondaggi di SWG, non sono andate meglio considerando non Conte ma, nel suo complesso, l’azione del governo che lui presiede, con o senza la casualità o la facciata contestatagli dal forse troppo esigente Galli della Loggia, che a 77 anni appena compiuti ha evidentemente
ricordi di altri governi e di altri presidenti del Consiglio, che magari ai loro tempi lui ugualmente criticava sul maggiore giornale italiano, aspettandosi di più e non immaginando quelli che sarebbero seguiti. Ebbene, l’efficacia dell’azione del governo del Conte che ha fatto pur relativamente sognare Mieli e Scalfari, in ordine
rigorosamente alfabetico, è sceso in un mese, questa volta fra l’11 giugno e il 15 luglio, dal 53 al 38 per cento. Se non è stata una caduta, poco le è mancato: una caduta tuttavia che non ha compromesso i lucido delle scarpe di conte e le pieghe stiratissime del suo abbigliamento.
Ripreso da http://www.startmag.it e policymakermag.it
a sorseggiare uno spumantino quando Spadolini mi prelevò da un gruppo di colleghi e mi accompagnò da lui per presentarmelo. Ebbi la sensazione, forse sbagliata, per carità, ma avvertita dopo che fummo rapidamente lasciati soli, che quella presentazione non fosse stata casuale.
quello che il Giornale della famiglia Berlusconi si augura si traduca nel “licenziamento” dello stesso Conte da parte del Nord, e dei suoi governatori leghisti in rivolta contro Palazzo Chigi. In un editoriale del suo più volte ex direttore Paolo Mieli il più diffuso giornale italiano ha voluto mettere una corona sulla testa del presidente del Consiglio. Egli avrebbe vinto per un’”agilità”, un’astuzia e quant’altro davvero sorprendenti la partita cominciata con le elezioni europee di maggio rovesciandone il risultato favorevole al leader leghista. Che era uscito dalle urne, ricorderete, col 34 per cento e rotti di voti dimezzando la consistenza degli alleati grillini.
alla imprevista abilità di un neofita della politica come l’ormai ex “avvocato del popolo”, quale il presidente del Consiglio si definì umilmente all’insediamento, Mieli lo ha spiegato attribuendo a Conte la possibilità e capacità di restare al suo posto
sia con e sia senza la Lega, con una potenziale maggioranza di ricambio da quasi “solidarietà nazionale”, comprensiva del Pd e forse anche di Forza Italia. Altro, quindi, che le elezioni anticipate sognate, perseguite e quant’altro da un Salvini peraltro caduto nell’errore, secondo l’autorevole editorialista di via Solferino, di non porre questo problema sul tappeto con la necessaria chiarezza, o fermezza, o entrambe.
elettorale che da direttore ancora in carica al Corriere fece su Romano Prodi, non prevedendone le successive difficoltà a Palazzo Chigi- ha messo sulla testa di Conte. Egli ha sovrapposto quella di presidente del Consiglio alla corona di capo del Movimento delle 5 stelle. Dove, ricorrendo ad un’immagine usata da Beppe Grillo in uno dei suoi recenti spettacoli teatrali, “l’acquario” allestito prima delle elezioni politiche dell’anno scorso con la leadership digitale di Luigi Di Maio sarebbe “bollito” alla temperatura delle elezioni europee, per non parlare dei fiaschi precedenti, nelle elezioni regionali e amministrative seguite alla formazione del governo Conte.
Mentana, che proprio al Fatto Quotidiano appena avventuratosi contro il “pallino gonfiato”, ripeto, di Giuseppe Conte ha detto che “nel tramonto delle idee” in cui si trova l’Italia il leader leghista Salvini, e non l’attuale presidente del Consiglio, “diventa Maradona”.
i dubbi espressi, di fronte alla corruzione sopravvissuta alle sue indagini di “Mani pulite”, se fosse valsa la pena demolire in quel modo, praticamente, un intero sistema politico sbrigativamente chiamato in senso dispregiativo “Prima Repubblica”; pur relegata, dicevo, in fondo, a sinistra, della prima pagina, quelli del Fatto Quotidiano hanno fatto capire con una vignetta spietata di Riccardo Mannelli quanti sospetti e malumori corrano fra i grillini sul conto di Conte. E scusate il bisticcio delle parole.
sulla sua disponibilità a sciogliere anticipatamente le Camere in caso di crisi, come vorrebbe Salvini e come invece non vorrebbero i grillini per la loro evidentissima crisi di consenso, visti i 6 milioni di voti e più perduti nelle urne del 26 maggio scorso.
di Massimo Franco che Salvini aveva abbassato i toni della polemica, poi tornati, in verità, a rialzarsi, perché consapevole che “sarebbe stato un altro governo a portare l’Italia alle urne”: un altro governo, ma soprattutto, direi, un altro ministro dell’Interno, da cui dipendono le operazioni elettorali.
molti intravisto dopo i suoi attacchi ultimi e diretti ai ministri grillini delle Infrastrutture e della Difesa, e meno diretti a quello, sempre grillino, dell’Ambiente; male che vada, dicevo, uno scalpo Matteo Salvini lo porta a casa nella sua campagna d’estate.
dei neo-commissari. Di certo -ha aggiunto il presidente del Consiglio calcando ancor di più la mano- non si tratta di rivendicare una “poltrona” a beneficio di una singola forza politica. Si tratta di difendere gli interessi nazionali e di rivendicare per l’Italia il posto di prestigio che merita”, forse anche di uno dei vice presidenti dell’organismo, oltre che commissario per la Concorrenza o altro.
un personaggio non certamente secondario come l’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti. Il quale infatti, del resto già da tempo di cattivo umore, a dir poco, per la conduzione del governo da parte di Conte e, più in generale, per i rapporti con i grillini, si è affrettato a chiedere e ottenere udienza al Quirinale per tirarsi fuori da una corsa così seriamente compromessa dal capo del governo. E, visto che si trovava, almeno stando alle indiscrezioni sinora non smentite, il praticamente vice di Salvini nella Lega ha sondato, diciamo così, umori e disponibilità del capo dello Stato verso la soluzione elettorale di una eventuale crisi di governo, essendo notoriamente competenza esclusiva del presidente della Repubblica lo scioglimento anticipato delle Camere.
sull’altro dei due partiti la responsabilità di una rottura, si può convenire col titolo di Repubblica sulla crisi “che c’è ma non si dice”, pur se, a dire il vero, potrebbe anche essere rovesciato nella crisi che si dice ma non c’è. Ne manca ancora l’apertura formale
per l’indecisione di una o di entrambe le parti in gioco, per cui il governo è soltanto “in bilico”, come titola il giornale della Confindustria 24 Ore.
di “una crisi seria
di persone non serie”, a cominciare naturalmente dal “truce” Salvini, che sul Fatto Quotidiano Marco Travaglio liquida come “Matteo il russo”,
che “sfascia tutto”, infastidito dalla “Mosca al naso” rimproveratagli dal manifesto.
sfondo, e sempre leggendo e rileggendo quel passaggio della lettera di Conte a Repubblica che ha cerchiato in rosso, Salvini può immaginare anche lui la scenetta, disegnata da Emilio Giannelli sulla prima pagina del Corriere della Sera, dell’unione felicemente politica fra il capo dei grillini Luigi Di Maio e il segretario del Pd Nicola Zingaretti celebrata dalla nuova presidente della Commissione di Bruxelles , “con buona pace” del vice presidente leghista del Consiglio e ministro dell’Interno, dopo essere stata votata dagli europarlamentari degli sposi.
alla foto del 24 aprile dell’anno scorso, quando Fico incontrò, come “esploratore” incaricato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, l’allora segretario reggente del Pd Maurizio Martina, il presidente dello stesso partito, Matteo Orfini, e i capigruppo parlamentari Andrea Marcucci e Graziano Delrio. Seguì un fiducioso rapporto
del presidente della Camera al capo dello Stato sulla possibilità di un accordo di governo fra piddini e grillini, che facevano e fanno ancora rima, ma forse solo quella ormai.
rimettendo in pista, praticamente, i leghisti come alleati dei grillini: un’intervista di cui curiosamente Matteo Salvini non è mai stato grato né al giornalista, cui ha fatto una guerra praticamente personale, costata al conduttore di Che tempo che fa quanto meno la partecipazione alla rete ammiraglia della Rai, né al l’ex presidente del Consiglio.
nel limpido, ma persino il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Che ha scritto una lettera curiosa, diciamo così, a Repubblica –il giornale più insofferente verso l’attuale governo ritenendolo troppo condizionato, se non addirittura guidato da Salvini- per “prendere atto che nel
dibattito politico si intensificano le congetture su scenari futuribili e su maggioranze di governo, alcune delle quali mi vedrebbero personalmente coinvolto”. E, al contempo, non per svincolarsene ma per porre, a suo modo, le condizioni di una partecipazione a cambiamenti che dovessero rendersi necessari.
vice presidente del Consiglio Salvini ai 28 deputati leghisti del Parlamento Europeo alla nomina della ormai ex ministra tedesca della Difesa Ursula Von der
Leyen alla prima presidenza femminile della Commissione nella storia dell’Unione Europea. La signora è stata invece eletta con novi voti più del necessario, compresi quindi, fra gli italiani, i 14 grillini, per nulla imbarazzati, o non più imbarazzati di quanto non lo siano generalmente nelle loro condotte interne e internazionali, di seguire le pubbliche raccomandazioni di Conte anche a costo di trovarsi per una volta insieme con Forza Italia a destra e col Partito Democratico a sinistra. Dove invece Salvini, incollato al no
appena rinfacciatogli perfidamente da Matteo Renzi con una foto nella sempre attuale Piazza Rossa di Mosca contro la sua riforma costituzionale, nel 2016, vede solo mostri, pronti a divorarlo vivo, magari per togliersi poi il gusto di vomitarlo, come usa dire dei giornalisti Beppe Grillo.
naturalmente Eugenio Scalfari, senza scomodare questa volta le buonanime di Platone, Aristotele, Socrate, Tucidide, Omero e quant’altri, e tanto meno il vivente Papa Francesco, ha intravisto, rivelato e cercato di analizzare la trasformazione in corso di Conte. Che da “pupazzo -ha scritto testualmente- manovrato” dai due vice presidenti impostigli l’anno scorso dalle circostanze politiche sta diventando, o è già diventato, il loro astuto “burattinaio”, mettendoli l’uno contro l’altro con l’uso sapiente dei fili che muovono i pupi.
invece Scalfari ha voluto in qualche modo paragonare Conte, che già di suo -va detto- aveva aspirato ad assomigliargli, arrivando a Palazzo Chigi, per le loro comuni origini pugliesi. Io, peraltro pugliese, un po’ francamente ne risi, o sorrisi. Ma evidentemente non c’è proprio limite alle sorprese.
diventato un quasi sinonimo del governo gialloverde
di Giuseppe Conte. Lo è diventato con tutte le immagini dell’infantilismo che evoca nel pubblico, e con tutte le scuse dovute ai generosi creatori dell’omonima Fondazione, istituita nel 1901 Milano dalla famiglia Majno in memoria e onore della congiunta Maria, morta di difterite a 13 anni.
persino -con qualche fraintendimento- la scoperta di ordigni missilistici a prima vista nel cortile di qualche Ministero o dello stesso Palazzo Chigi, poi rivelatosi per fortuna un sito più modesto.
agli Urali, più mostra di sentirsi a suo agio, con una una sola g, intesa come comodità o divertimento. Ancora qualche sforzo, vedrete, magari con la comparsa all’orizzonte del primo porto italiano di un’altra nave piena di migranti a destinazione unica e controllata, quella appunto italiana, e Salvini indosserà qualcuna delle felpe specialissime che ha nel suo appartamento
ministeriale di servizio, di fronte alla residenza dell’”impresario” Silvio Berlusconi, come da sempre Eugenio Scalfari definisce il Cavaliere di Arcore, prenderà il posto
e le sembianze di un orso e salverà, dirottandone gli inseguitori, il povero M49. Che non è la sigla di un missile, per fortuna, ma solo quella dell’animale fuggito dalla riserva blindatissima in cui le guardie forestali e simili si erano illusi di averlo finalmente neutralizzato.
come “uno sgarbo” a Palazzo Chigi da Giuseppe Conte- facendosi affiancare a sinistra, la parte del cuore, dall’ex sottosegretario leghista Armando Siri. Che è stato allontanato rumorosamente, a dir poco, dal governo perché indagato per corruzione nella Procura di Roma ma è rimasto deputato e promosso, o confermato, come l’esperto, responsabile e quant’altro del partito nella materia più calda ed elettoralmente vitale del Carrocio: la tassa cosiddetta ma davvero piatta.
peraltro è un nome importante, ereditato da un Cardinale senza il cui assenso o dissenso inoffensivo nulla una volta poteva davvero accadere, neppure il crollo di un ponte-ha cercato di fare un caso o incidente politico il vice presidente del Consiglio grillino Luigi Di Maio prendendosela non tanto con Conte, contento di avere preso come pretesto proprio quell’episodio per declassare l’incontro a livello politico e non istituzionale, quanto con i sindacati.
Che, praticamente accusati di essersi rivelati insensibili alla cosiddetta questione morale, avvertita invece da Di Maio ad ogni angolo di strada e rumore di starnuto, hanno però reagito facendo spallucce, a cominciare da quelle più mobili e provate di Maurizio Landini, il nuovo capo della Cgil.