Scatta ora contro Salvini l’allarme 25 aprile dalle colonne di “Repubblica”

            Il Governo, con la maiuscola che gli spetta per il riguardo che gli conferisce la Costituzione ogni volta che lo cita, sarà pure paralizzato dalle liti, come lamenta in prima pagina la Repubblica.Repubblica.jpg Che con quel nome che porta ha forse maggiore titolo di altri quotidiani per preoccuparsene. Il rischio di una crisi non avrà certamente perso la sua gravità istituzionale, in mancanza di alternative e nel pieno di una campagna elettorale per le europee e le amministrative di altissimo valore anche politico, per il fatto di essere ormai diventato cronico, cioè abituale. Quel mitra imbracciato in maniche di camicia dal ministro dell’Interno, con tanto di foto lasciata diffondere in rete da un collaboratore, dopo il rimprovero fattogli da un magistrato di rafforzare la mafia difendendo un sottosegretario sospettato alla larga di essersene fatto corrompere, sarà pure uno scivolone. Ma la colpa maggiore di quel Lerner.jpgministro, nonché vice presidente del Consiglio, resta il sostanziale affronto fatto alla imminente festa del 25 aprile, settantaquattresimo anniversario della liberazione dell’Italia dall’occupazione nazifascista: parola di Gad Lerner. Che vi ha dedicato un lungo “commento”, qualcosa di meno di un editoriale ma qualcosa di più di un semplice commento, appunto, per la sua collocazione in prima pagina, proprio su Repubblica, sotto l’allarme del “Governo paralizzato dalle liti”.

            Il Salvini del rifiuto  di unirsi, quanto meno, se non di capeggiare uno dei tanti cortei organizzati dall’Associazione Nazionale dei Partigiani, anch’essa con le maiuscole del politicamente corretto, preferendo inaugurare quel giorno a Corleone, in Sicilia, un commissariato di Polizia per sottolineare la maggiore attualità della lotta alla mafia e a ogni altra forma di criminalità organizzata, fa tutt’uno -secondo il mio amico Gad- col Trump americano, coll’Orban ungherese e col Bolsonaro brasiliano per far capire anche in Italia che “il fascismo ha un futuro”. Così, testuale: “il fascismo ha un futuro”.

            Questa convinzione, questo slogan, come preferite, si basa in Italia anche sulla liquidazione fatta da Salvini della festa del 25 aprile come di un vecchio, quasi anacronistico “derby” tra il fascismo e il comunismo: il primo sconfitto 74 anni fa e il secondo sconfitto pure lui moltissimi anni dopo, ma nel 1945 decisivo per la vittoria dei partigiani.  Della cui perdurante Associazione, sempre al maiuscolo, per quanto ormai composta solo in piccolissima parte dai superstiti della Resistenza, sempre con la maiuscola, Salvini starebbe facendo l’errore di sottovalutare la capacità di portare sfortuna a chi non ne ha o non me mostra sufficiente rispetto.

            Qui la memoria di Gad è stata micidiale, conoscendo la mania, se non l’ossessione che Salvini ha di Matteo Renzi, di cui si è sempre proposto di non ripetere gli errori finendo invece per incorrervi spesso. Dell’Anpi, acronimo dell’associazione dei partigiani, di cui mi risparmio stavolta le maiuscole per non abusarne, l’allora presidente del Consiglio Renzi e la sua ministra delle riforme e dei rapporti col Parlamento Maria Elena Boschi contestarono duramente nella campagna referendaria del 2016 la posizione presa contro la riforma costituzionale. Sappiamo tutti -ci ha ricordato Gad- come finì quel referendum: con la clamorosa sconfitta di Renzi. Che poi -aggiungo io- perse anche il confronto sulla ragionevole richiesta delle elezioni anticipate col presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pur da lui fortissimamente voluto al Quirinale, anche a costo di rompere il cosiddetto patto del Nazareno con Silvio Berlusconi. Le elezioni si svolsero alla scadenza ordinaria del 2018, con la terza sconfitta dell’attuale senatore piddino di Scandicci.

            Salvini -cui peraltro Gad ha contestato anche l’improvvido cartello levato da un leghista in una manifestazione Tolli.jpgdel 28 febbraio 2015 per fargli dare il benvenuto da un ritratto di Mussolini- è insomma avvertito. E spero che al suo “amplificatore” non venga adesso l’idea di riprendere il ministro con le mani scaramanticamente e furiosamente a quel posto, diffondendone poi la foto in rete.

 

 

Ripreso da http://www.policymakermag.it

Armi e potere a confronto tra un magistrato e un ministro dell’Interno

Non per giustificarla, per carità, rimanendo una reazione a dir poco inopportuna, specie per un “filosofo informatico” com’è il collaboratore di Matteo Salvini che si è assunta la responsabilità della sua diffusione in rete, ma quella fotografia del ministro dell’Interno in maniche di camicia e mitra in mano, pronto a difendersi da quanti “se ne inventano di ogni per fermarlo” -ha scritto il suo dichiarato “amplificatore” Luca Morisi- ha qualcosa a che fare con l’attacco appena sferrato al leader leghista in una intervista a Repubblica dal magistrato Nino Di Matteo.

“I mafiosi capiscono subito su chi poter fare affidamento. La difesa ad oltranza di un indagato per contestazioni di un certo peso potrebbe essere, in questo come in altri casi, un segnale che i poteri criminali apprezzano”, ha detto l’ex procuratore aggiunto di Palermo, ora in servizio alla Direzione Nazionale Antimafia, commentando il sostegno ricevuto nel proprio partito dal sottosegretario leghista ai Trasporti Armando Siri. Che è sospettato dalla Procura di Roma di corruzione, per 30 mila euro, avendo cercato di favorire con una modifica legislativa, per quanto inutilmente, una società eolica siciliana posseduta in parte dall’amico esperto di energia Paolo Arata con un imprenditore, Vito Nicastri, sottoposto a provvedimenti restrittivi anche di natura economica per rapporti col capo latitante della mafia Matteo Messina Denaro.

Immediatamente privato delle deleghe dal ministro grillino delle Infrastrutture Danilo Toninelli, il sottosegretario leghista ha negato l’addebito mossogli in base ad una intercettazione allusiva di Arata, esperto di energia per la Lega, ed è stato energicamente difeso da Salvini anche in ordine alle dimissioni reclamate dal vice presidente del Consiglio Luigi Di Maio ed altri esponenti del Movimento 5 Stelle. Con i quali il presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è impegnato a convocare Siri per un incontro presumibilmente chiarificatore sulla sua permanenza nel governo.

Nino Di Matteo un’idea precisa sulla compatibilità fra Siri e il suo ruolo governativo l’ha già maturata. E in modo decisamente negativo, avendo l’interessato già patteggiato una condanna a un anno e otto mesi scovata negli archivi e denunciata con la solita tempestività da Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano.

“Il reato per cui il sottosegretario è già stato condannato, quello di bancarotta, è oggettivamente rilevante. Mi chiedo come sia stato possibile non prenderlo in considerazione al momento della nomina”, ha detto Nino Di Matteo estendendo il suo scetticismo critico, diciamo così, dal leader leghista che aveva proposto Sarti sottosegretario, peraltro dopo avere accarezzato l’idea di farlo diventare ministro, ai colleghi grillini di governo che ne avevano accolto la designazione: a cominciare evidentemente dal presidente del Consiglio Conte e dal vice presidente Luigi Di Maio.

L’affondo di Di Matteo, che ha risparmiato -forse in assenza di domanda da parte dell’intervistatore- il sottosegretario leghista a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti, coinvolto  duramente nelle polemiche per avere assunto come consulente al dipartimento economico un figlio di Arata, Federico, prontamente difeso ed elogiato, pure lui, dal leader della Lega che lo conosce personalmente, è stato abbastanza clamoroso.

Non credo che abbia contribuito a trattenere Salvini nelle sue reazioni comprensibilmente stizzite, specie alla vigilia del suo vantato viaggio del 25 aprile in Sicilia per sottolineare il proprio impegno nella lotta alla mafia, il ricordo delle volte in cui Nino Di Matteo fu Schermata 2019-04-23 alle 06.29.01.jpgindicato come possibile ministro della Giustizia in un loro governo dai grillini, fu applauditissimo ad un convegno di Casaleggio ad Ivrea e fu insignito della cittadinanza onoraria di Roma dalla sindaca a cinque stelle Virginia Raggi. Della quale Salvini si sta occupando proprio in questi giorni non certo per elogiarla, d’altronde ricambiato.

 

 

Pubblicato su Il Dubbio

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