Privi di immagini in diretta perché le sedute del Consiglio dei Ministri sono riservate per fortuna a chi ne fa parte, a nessuno dei quali è venuta ancora l’idea di violare la riservatezza usando il telefonino come telecamera e trasmettendo l’arcano all’esterno, i giornali non hanno fatto grande fatica a corredare con materiale d’archivio, diciamo così, la notizia sull’ennesimo scontro consumatosi fra il ministro dell’Economia Giovanni Tria e praticamente tutto il resto del governo, ma in particolare col vice presidente leghista Luigi Di Maio. Che ad un certo punto, resistendo anche alle suppliche facciali del presidente Giuseppe Conte a calmarsi, avrebbe per l’ennesima volta annunciato di avere perduto la pazienza. Ma senza tuttavia riuscire con questo a cambiare la situazione di stallo creatasi sulla questione dei rimborsi ai danneggiati dalle banche fallite negli ultimi tempi.
Escluso dal decreto sulla crescita, dove però è entrato il sostanziale salvataggio dell’amministrazione capitolina a cinque stelle dal debito che stava letteralmente travolgendola, il problema dei rimborsi è stato rinviato ancora. Neppure Conte, con la sua dottrina di professore di diritto e con la sua esperienza di avvocato, ha trovato argomenti sufficienti a superare i dubbi e le resistenze di Tria. Che ha riproposto l’esigenza pur elementare di destinare i rimborsi solo a vittime accertate delle truffe, non anche a speculatori che vorrebbero approfittare dell’occasione per strappare, a spese della collettività, una specie di polizza d’assicurazione dai rischi della loro imprudente voracità, passata e futura.
I giornali, dicevo, non hanno trovato difficoltà a corredare d’immagini -oltre che di vignette- le notizie provenienti dal governo perché gli archivi sono pieni di foto del ministro dell’Economia in evidente tensione e difficoltà con i suoi colleghi e superiori nei banchi parlamentari destinati all’esecutivo. Sono foto che parlano da sole. Esse danno perfettamente l’idea di quanto sia stata sempre anomala e sofferta, a dir poco, la posizione di Tria nella compagine o “squadra”, come preferisce chiamarla Di Maio, formatasi dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018 per realizzare il famoso “contratto del cambiamento” gialloverde.
Oltre alla pazienza del vice presidente grillino del Consiglio è ormai esaurita, nel tentativo di capire e spiegare natura e personalità di Tria, anche la fantasia del direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio. Che si è ispirato all’indimenticabile Ennio Flaiano per riproporre la favola di un marziano a Roma. Al quale il presidente della Repubblica affidò l’anno scorso il Tesoro, le Finanze e il Bilancio dello Stato pur di non darli al professore Paolo Savona, propostogli da Conte, e al tempo stesso per restituire la pazienza a Di Maio. Che l’aveva persa a tal punto da annunciare di notte urbi ed orbi, direbbero in Vaticano, il cosiddetto impeachment del capo dello Stato, cioè il tentativo di farlo mandare dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri, a processo davanti alla Corte Costituzionale per alto tradimento o attentato alla Costituzione.
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