Voglio essere franco sino in fondo e dire al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al suo sottosegretario all’editoria Vito Crimi e al suo vice presidente e ministro del cosiddetto Sviluppo Economico Luigi di Maio, per i cui uffici è passata la pratica ostinatissima della soppressione della convenzione, cioè
del finanziamento pubblico di Radio Radicale, che Massimo Bordin ha perfidamente profittato un po’ della sua grave malattia per morire prima di vedere compiuto quel delitto politico che è la chiusura della “sua” radio. Di cui non è stato solo uno dei direttori avvicendatisi negli anni ma l’anima, con quella sua inconfondibile voce, intelligenza e conoscenza di cose e uomini con cui faceva la storica rassegna quotidiana di “Stampa e regime”.
Egli è stato “il leader di una comunità morale e politica”, come Francesco Merlo aveva appena definito Radio Radicale su Repubblica chiedendo a Conte di risparmiarla. Lo è stato non meno del compianto Marco Pannella: l’unico che Massimo sapesse in qualche modo domare negli appuntamenti radiofonici, nei quali ogni tanto perdeva la devozione dell’amico per incalzare
Marco nel ragionamento e nella ricostruzione di eventi e situazioni, sino a rischiare la rottura, se non addirittura il licenziamento. Grandissimo Bordin, per una cui citazione, anche critica, spulciando editoriali, cronache, retroscena e quant’altro, non c’è giornalista, credo, che non avrebbe fatto salti mortali.
Già fiaccato dalla morte, sei anni fa, della carissima compagna Marianna Bartoccelli e da una malattia affacciatasi alla sua vita di fumatore incallito come enfisema polmonare per diventare qualcosa di assai
più grave, il mio amico Massimo si è come arreso alla prepotenza di chi voleva toglierli la voce prima che gliela togliesse la morte.
A Bordin sarebbero rimaste certamente tutte le altre, numerose finestre della professione, dagli articoli alla rubrica sul Foglio, dalle interviste ai dibattiti nei salotti televisivi che avessero avuto la voglia e il coraggio di invitarlo, essendo un ospite imprevedibile, ma era Radio Radicale la sua vita. E senza di essa lui non riusciva a immaginarsi.
Non so francamente se di fronte a questo virtuoso, orgoglioso e tragico sbattimento di porta costituito dalla morte di Massimo Bordin, a 67 anni neppure compiuti, i becchini politici di Radio Radicale vorranno fermarsi e risparmiarci la tumulazione anche di un’emittente libera che per una quarantina d’anni ha permesso a tantissimi italiani di vivere nei palazzi della politica pur standone fuori, come dice uno slogan che credo inventato proprio da lui. Sarebbe un gesto saggio di resipiscenza: troppo forse per questo governo e per questa maggioranza gialloverde, che non lascia ormai trascorrere giorno senza riservarci delusioni e preoccupazioni.
preso dal presidente della loro Repubblica, più bella e forte di prima. Così hanno detto anche due uomini che se ne intendono come l’architetto Renzo Piano e lo storico dell’arte Vittorio Sgarbi, contestando una certa disperazione retorica che sempre si affaccia in queste circostanze, a dispetto dei progressi compiuti e dimostrati dall’umanità anche per riparare alle disgrazie e ai propri errori.
pagina del Fatto Quotidiano. Dove si è potuto scrivere, con la pretesa di far ridere, che “le reliquie” custodite nella cattedrale parigina “sono tutte salve” ma “resta da accertare perché non abbiano funzionato” per scongiurare l’incendio scoppiato nel cantiere del restauro in corso da mesi.
fra le cosiddette autorità civili e militari, di ogni ordine e grado, su come fronteggiare l’aumento del già esponenziale fenomeno dell’immigrazione di fronte all’aggravamento della situazione in Libia. Il cui capo del governo riconosciuto e garantito dall’Onu ha cercato di mobilitare anche l’Italia, che pure lo ha sinora aiutato, contro l’assalto sferrato dal generale Haftar, e da quanti gli stanno dietro, prospettando la fuga di ottocentomila disperati verso l’Europa e le sue prime stazioni marittime, che sono appunto quelle italiane.
e definiti rifugiati perché in fuga dalla guerra. Ne è nata una rivolta di carta dei generali, con tanto di nota dello Stato Maggiore della Difesa condivisa e rilanciata dalla ministra grillina Elisabetta Trenta, già altre volte scontratasi con Salvini su versanti diversi. Al manifesto, sempre felicemente immaginifico nei titoli, hanno chiamato sulla prima pagina “battaglia navale” quella che si è aperta con i comunicati, ma si potrebbe chiamare anche scontro o caos istituzionale.
richiamato all’ordine su un altro aspetto, non meno inquietante e grave, dell’attività di governo: l’abitudine di approvare per finta in Consiglio dei Ministri – com’è accaduto per i provvedimenti sulla crescita e sullo sblocco dei cantieri- decreti-legge con la formula della “riserva d’intesa”. Che viene poi cercata, e non sempre trovata davvero, fra i ministeri e i ministri interessati, senza un altro passaggio collegiale. Cui invece Sergio Mattarella ha ricordato a Conte che nessuno può sottrarsi senza mettersi sotto i piedi la decenza istituzionale . Le parole, magari, saranno state diverse, ma il contenuto della protesta e del monito del presidente della Repubblica è stato ed è questo.