Me l’aspettavo, naturalmente. Ma francamente le previsioni sono state superate dalla realtà della caccia all’assassino, o qualcosa di simile, di Imane Fadil, la modella marocchina morta a 34 anni per
un misterioso avvelenamento da lei stessa denunciato nella clinica dove sarebbe poi spirata il primo marzo scorso. Sulla letale intossicazione da cobalto, a quanto pare, si stanno facendo le dovute indagini dall’epilogo -si è capito- né vicino né facile.
Per fortuna Il Fatto Quotidiano, dove troneggia una vignetta di Riccardo Mannelli sulle “cene un filino indigeste” ad Arcore, è ancora un giornale e non una Procura della Repubblica. Sennò Silvio Berlusconi avrebbe problemi seri a uscire indenne dalla vicenda, per quanto vada riconosciuto con onestà che lo stesso direttore Marco Travaglio in un editoriale dedicato interamente al caso ha scritto che la logica del “cui prodest” mette il Cavaliere in condizioni di sicurezza.
La morte della modella nelle circostanze in cui è avvenuta non gli sarebbe convenuta -ha ammesso Travaglio- con tutto il prevedibile sipario e siparietto sulle serate di Arcore che tanti guai gli hanno già procurato, nonostante un’assoluzione definitiva già portata a casa, e potrebbero ancora procurargli con i processi in corso per corruzione in atti giudiziari e simili.
Eppure, “la cattiveria” intesa come il corsivo di prima pagina del giornale di Travaglio è stata quella più benevola col Cavaliere, preso in giro con la storia del lettone regalatogli una volta
dall’amico Putin: tanto grande da rendere credibile l’assicurazione dichiarata da Berlusconi di non avere mai conosciuto la povera Imane. Della quale invece, oltre alle testimonianze rese in tribunale, si trovano nelle cronache dei giornali dalle sei alle otto tracce di sue presenze con Berlusconi a casa e fuori casa negli anni, mesi, settimane e giorni setacciati dalla Procura di Milano viaggiando sul confine fra i peccati e i reati contestabili all’allora presidente del Consiglio.
Dalla ricostruzione della vita del Cavaliere fatta da Travaglio nel suo lungo editoriale sotto il titolo “Tutte coincidenze”, già allusivo
di suo, viene fuori un Cavaliere a dir poco da non frequentare per tutte le cose spiacevoli, dalla morte in giù, capitate a chi ha avuto a che fare con lui. Che pure si considera -ve lo assicuro, avendolo conosciuto e frequentato- un portafortuna. Ho avuto un sobbalzo vedendo fra le sinistre “coincidenze”
elencate da Travaglio con riferimento ai problemi e alla vita stessa del Cavaliere persino l’infarto di cui morì nel 2003 il famoso pubblico ministero di Firenze Gabriele Chelazzi, da tutti apprezzato per l’intuizione e al tempo stesso il rigore in cui seppe indagare su terrorismo e stragi. Fu una morte, se non ricordo male, avvenuta in una caserma della Guardia di Finanza, dove il magistrato alloggiava per ragioni di sicurezza. Tanto sicuro, evidentemente, non doveva essere considerato quell’alloggio.
Trionfale alla Camera dei Deputati, sterminò la scorta, anche quella che viaggiava su un’altra auto, e sequestrò lo statista per uccidere pure lui dopo 55 giorni di penosa e convulsa prigionia. Durante la quale, pur dietro la facciata di una linea della fermezza subito opposta ai terroristi dal governo su pressione soprattutto dei comunisti, che lo appoggiavano dall’esterno non essendo riusciti a farne parte neppure con una crisi appena conclusa, furono compiuti numerosi ma inutili tentativi di strapparlo alla morte.
succeduto allo stesso Moro a Palazzo Chigi. E in una delle sue prime dichiarazioni dopo la nomina a capo del governo gialloverde egli tenne a indicare proprio Moro come un modello al quale avrebbe voluto ispirarsi nella sua azione di governo e, più in generale, nel suo impegno politico. Lo disse non rendendosi conto -mi permetto di aggiungere- di quanto fosse esagerata, anzi smodata, quell’ambizione. I fatti lo avrebbero poi impietosamente dimostrato, perché francamente dubito assai, avendolo peraltro conosciuto, e non solo raccontato da giornalista, che Moro avrebbe mai permesso a un suo vice presidente di correre fra i gilet gialli francesi impegnati a mettere a ferro e fuoco il loro Paese per rovesciarne il legittimo governo, e ad un altro vice presidente di alternare disinvoltamente le sue funzioni di ministro dell’Interno con quelle dei ministri regolarmente in carica degli Esteri, della Difesa, dell’Agricoltura.
che Moro stava realizzando “il compromesso storico”, cioè la proposta ambiziosa e piena di governo avanzata dal Pci, non certo -credo- per sostenerlo dall’esterno. Eppure si dice che il direttore di questo telegiornale di Stato sia uno storico. Siamo messi bene.