Alla prova dei fatti la pace di Bibbona fra Grillo e Conte, che ha pagato il pranzo

Titolo di Repubblica
Titolo del Fatto Quotidiano

            “La pace di Bibbona”, come Il Fatto Quotidiano in un titoletto di prima pagina ha definito quella che Giuseppe Conte e Beppe Grillo avrebbero raggiunto mangiando una spigola e bevendo del Vermentino in un ristorante dell’omonima spiaggia toscana, dovrebbe non tranquillizzare ma impensierire il presidente del Consiglio Mario Draghi. Al quale sembra che lo stesso Conte riferirà presto sulle difficoltà che intende creargli come capo pur ancora virtuale del Movimento 5 Stelle sul percorso della riforma del processo penale, con le modifiche predisposte dal Consiglio dei Ministri all’unanimità, quindi col consenso dei pentastellati, ma che l’ex presidente del Consiglio non condivide. Egli le considera destinate a produrre una prescrizione -o improcedibilità-  peggiore di quella su cui intervenne il suo primo governo. “Sulla giustizia non molliamo”, ha fatto dire “a tavola” a Conte e Grillo un titolo di Repubblica. “Da oggi battaglia su giustizia e Rdc”, inteso come reddito di cittadinanza, ha titolato Il Fatto Quotidiano.

            Non si sa tuttavia se garante e nuovo capo virtuale, fondatore e di nuovo rifondatore del MoVimento, abbiano parlato davvero anche di questi problemi nelle due ore trascorse insieme a tavola, prima che si lasciassero -come hanno raccontato Annalisa Cuzzocrea e Valeria Strambi su Repubblica– dicendosi “arrivederci, un pollice alzato per le telecamere, senza strette di mano, senza abbracci, senza dichiarazioni”. E forse con qualche delusione per Pietro Dettori, il consigliere di Luigi Di Maio mandato sul posto con macchina fotografica per registrare e riprendere  l’evento per il quale il ministro degli Esteri ritiene forse di essersi prodigato più degli altri sei saggi del comitato nominato da Grillo per riparare alle rovinose “battute” -disse il comico- sfuggitegli contro l’incapace, il seicentesco, l’inadatto, l’inesperto Conte.

Titolo del Corriere della Sera
Grillo nella sua villa di Marina di Bibbona

            Il quadro del MoVimento 5 Stelle resta insomma confuso, a dir poco, anche dopo la presunta pace di Bibbona e l’altrettanto presunto “patto della spigola” o del “vermentino” su cui si sono sbizzarrite le cronache. Non a torto forse il Corriere della Sera ha sottolineato “differenze e ambiguità” sopravvissute al pranzo e al conto pagato peraltro non da Grillo, che pure poteva essere considerato il padrone d casa, disponendo di una villa sul posto, ma da Conte, che sembrava perciò l’ospite, appositamente giunto da Roma. Di “finta pace” ha parlato in un titolo La Stampa, di “sceneggiata” La Verità.

Non resta che aspettare fatti e parole, soprattutto fatti naturalmente, fra la imminente pubblicazione del nuovo statuto del MoVimemto, la solita consultazione digitale di conferma degli accordi presi in tutta segretezza da protagonisti e attori della guerra che stava per produrre una scissione, e le mosse di Conte quando sarà finalmente dotato delle credenziali per agire in nome e per conto della “comunità”, come lui spesso definisce quella alla quale deve ancora iscriversi. Ad essa nella nuova formulazione appena sancita anche sul blog personale di Grillo è stato fissato il traguardo del 2050, un po’ troppo lontano forse per la gravità e l’urgenza dei problemi atttuali, con i quali è alle prese un governo e una maggioranza cui partecipano i pentastellati, se non ne usciranno presto per prepararsi meglio -si fa per dire- al presunto futuro.

Le credenziali difettose di Conte in attesa di incoronazione sotto le cinque stelle

Su un punto credo che Giuseppe Conte abbia il sacrosanto diritto alla solidarietà anche di chi dissente dalle sue posizioni sempre più critiche verso il governo di Mario Draghi, pur nell’ambito di un “leale appoggio” ch’egli gli ha assicurato, pur non essendo parlamentare e non potendo quindi né accordargli né negargli la fiducia, né potendo indicare la linea a un gruppo parlamentare, dall’esterno, come capo del corrispondente movimento o partito. A quello delle 5 Stelle peraltro, cui pure deve la permanenza a Palazzo Chigi per circa due anni e mezzo, cioè per metà della legislatura uscita dalle urne del 2018, Conte non è neppure iscritto.

Il testo della rottura con Conte sul blog di Grillo del 28 giugno
L’immagine della rottura con Conte sul blog di Grillo del 28 giugno

            La solidarietà che Conte merita, o gli spetta, è proprio per questa sua posizione anomala, indefinita, incerta Alla quale, d’accordo, egli può avere avuto il torto di essersi prestato, ma che al punto in cui sono ormai arrivate le cose prescinde anche dalle sue responsabilità. Esse sono adesso tutte e solo di Grillo  e, più in generale, del MoVimento, a cominciare da chi istituzionalmente lo rappresenta ai vertici dei gruppi parlamentari, interlocutori d’ufficio, diciamo così, del governo e, in caso di crisi, del capo dello Stato. Il quale una volta, agli inizi della storia repubblicana d’Italia, nelle consultazioni di rito per la formazione di un nuovo governo chiamava solo i presidenti dei gruppi parlamentari, non i segretari dei rispettivi partiti. Fu la ragione per cui la buonanima di Palmiro Togliatti, gelosissimo delle sue prerogative politiche, soleva cumulare le cariche di segretario, appunto, del Pci e di capogruppo a Montecitorio, dove preferiva farsi eleggere piuttosto che al Senato.

            Immagino la tentazione di Draghi -schieratosi così chiaramente con la ministra della Giustizia Marta Cartabia sulle modifiche da apportare alla riforma del processo penale all’esame della Camera- di ascoltare dalla viva voce del suo predecessore a Palazzo Chigi i motivi del dissenso da lui pubblicamente annunciato dagli emendamenti decisi all’unanimità dal Consiglio dei Ministri in una seduta preceduta o affiancata da una consultazione telefonica dello stesso Draghi con Grillo. Che può dirsi sostanzialmente confermata dal silenzio opposto alla diffusione della notizia. Ma immagino anche lo scrupolo avvertito dallo stesso Draghi di dare a Conte, in una interlocuzione diretta, le credenziali che ancora non ha. E che chissà se e quando avrà, vista la imprevedibilità del MoVimento di riferimento per ora solo giornalistico, nel migliore dei casi, dell’ex presidente del Consiglio. E dico “nel migliore dei casi” perché sugli stessi giornali nei quali si legge della pace intervenuta fra Grillo e Conte, sancita ieri da un incontro conviviale, sulla strada della rifondazione del MoVimento, dopo il recente e furioso scontro in cui il primo aveva praticamente dato dell’incapace all’altro, si trovano le valutazioni, previsioni e quant’altro dei parlamentari pentastellati che potrebbero partecipare ad una scissione promossa dal pur non iscritto professore e avvocato.

            Credo proprio di non svelare un mistero, né di violare la fiducia di chi me ne parlò a suo tempo con dovizia di particolari, se ricordo i momenti -si fa per dire- di sorpresa e persino di panico vissuti al Quirinale tre anni fa dopo la rinuncia di Conte all’incarico di formare il governo per il rifiuto del capo dello Stato di accettare per intera la lista dei ministri propostagli, in cui al professore Paolo Savona era assegnato il Ministero dell’Economia.

Carlo Cottarelli al Quirinale nel 2018 per l’incarico di presidente del Consiglio

            Conte risultava al Quirinale, da certe cronache giornalistiche, già tornato o in procinto di tornare a Firenze per riprendere l’insegnamento universitario, e il presidente della Repubblica, per nulla intimidito dalle minacce di cosiddetto impeachment levatesi dal capo di turno del MoVimento grillino, aveva già annunciato e conferito il nuovo incarico di presidente del Consiglio all’economista Carlo Cottarelli, salito sul Colle con la sua valigetta a rotelle, quando giunse notizia della ripresa delle trattative fra pentastellati e leghisti per ridefinire un accordo sul programma, o contratto, di un nuovo governo, oltre che sui nomi dei ministri.

Ci volle -mi riferirono- tutta la pazienza del Segretario Generale del Quirinale per evitare che la svolta sfociasse in un clamoroso incidente istituzionale. Ci volle tutta la pazienza di Sergio Mattarella per autorizzare il suo principale collaboratore a permettere la prosecuzione delle trattative riprese senza alcun nuovo incarico. E tutta la pazienza e ironia di Cottarelli per riderci sopra e predisporsi alla rinuncia al mandato se grillini e leghisti fossero riusciti -come poi riuscirono- ad accordarsi e a proporre al presidente della Repubblica una lista di ministri condivisa, con Savona spostato dal Ministero dell’Economia al quasi confinante Ministero degli affari europei: gli stessi peraltro che erano sembrati minacciati o compromessi dal medesimo Savona al superdicastero di via XX Settembre.iok8

Non mancarono anomalie, almeno rispetto alle abitudini dei cronisti politici e parlamentari, neppure in occasione del passaggio dal primo al secondo governo di Conte e delle dimissioni di quest’ultimo, ritardate di qualche settimana dopo l’uscita della componente renziana  per consentire al presidente del Consiglio ancora in carica di tentare l’arruolamento di nuove unità nella maggioranza,  senza il consueto passaggio di una crisi. Ma l’anomalia maggiore di questa curiosa diciottesima legislatura repubblicana doveva ancora arrivare. Ed è quella di una specie di convitato di pietra della politica quale è diventato Conte sprovvisto di credenziali, almeno per come noi poveri, sprovveduti cronisti politici eravamo abituati a considerarle.

Pubblicato sul Dubbio

Mario Draghi e Marta Cartabia solidali non soltanto sulle carceri

Titolo di Domani
Editoriale d Domani

            Il presidente del Consiglio Mario Draghi e la ministra della Giustizia Marta Cartabia sono andati insieme nel carcere di Santa Maria Capua Vetere -in missione e non “in gita” o “passerella”, come nei titoli sarcastici di Domani, il quotidiano di Carlo De Benedetti-per mandare al mondo politico e all’informazione un segnale che va ben oltre la deplorazione delle violenze consumate un anno fa in quel pentenziario e l’impegno di una riforma a tutela della detenzione nelle condizioni di sicurezza e di umanità prescritte dalla Costituzione. Draghi e Cartabia hanno voluto opporre l’immagine anche fisica di una piena solidarietà fra di loro nel momento in cui all’interno della maggioranza di governo si sono levate critiche e resistenze, ad opera dei grillini più vicini a Giuseppe Conte ma anche di una parte del Pd che continua a fare da sponda all’ex presidente del Consiglio, contro le modifiche pur predisposte all’unanimità dal Consiglio dei Ministri alla riforma del processo penale all’esame della Camera, con particolare riguardo alla prescrizione.

Cartabia a Santa Maria Capua Vetere
Draghi a Santa Maria Capua Vetere

            Draghi e Cartabia non intendono tornare indietro né assecondare manovre dilatorie, anche se il presidente pentastellato della commissione Giustizia di Montecitorio Mario Perantoni ha definito “poco realistica” la data del 23 luglio decisa dalla conferenza dei capigruppo per l’approdo in aula di quella riforma. Che peraltro Draghi ha inserito tra le più urgenti legate al piano della ripresa finanziato dall’Unione Europea, e intende perciò fare approvare rapidamente. Il presidente del Consiglio lo ha appena confermato anche al leader leghista Matteo Salvini, ricevuto a Palazzo Chigi dopo il segretario del Pd Enrico Letta e il vice presidente di Forza Italia Antonio Tajani.

            Salvini si è affrettato ad annunciare, o confermare, all’uscita “totale condivisione” nei riguardi di Draghi e a dire che “chiunque si metterà contro le riforme, che sia Conte o Grillo o qualche corrente del Pd, avrà nella Lega un avversario”. Col ricorso a “qualche corrente del Pd” Salvini ha voluto, almeno per ora, lasciare fuori dalla polemica il segretario Enrico Letta, col quale invece lo scontro continua durissimo sul percorso accidentatissimo del disegno di legge Zan contro l’omotransfobia nell’aula del Senato, dove la discussione ha superato per un solo voto un altro scoglio procedurale. Di Letta il capo della Lega a proposito della riforma del processo penale ha voluto prendere evidentemente per buona il pieno apprezzamento espresso delle modifiche predisposte dal Consiglio dei Ministri.

Titolo di Repubblica

            Il giornale Repubblica ha immaginato, annunciato e quant’altro in prima pagina anche un incontro sulla riforma del processo penale fra Draghi e il predecessore Conte, che ha assunto fra i grillini, o condiviso con l’ex guardasigilli Alfonso Bonafede, la guida di un’azione di contrasto alla improcedibilità dei processi oltre i due o tre anni in appello, secondo i reati, e i 12 e 18 mesi in Cassazione. Ma di Conte continuano a rimanere incerte le credenziali, diciamo così, come interlocutore del presidente del Consiglio perché la sua elezione digitale a presidente del MoVimento 5 Stelle è ancora di là da venire. E la definizione della pace annunciata con Grillo è rimasta appesa alla definizione degli “ultimi dettagli” da parte diretta degli interessati. In  nome e per conto di chi Conte, peraltro neppure parlamentare, possa parlare e trattare non si capisce quindi francamente bene, anzi per niente.

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Al Senato come allo stadio, fra le proteste della presidente Casellati

Il deputato del Pd Alessandro Zan
Titolo del Foglio

            Forse hanno esagerato al Foglio con quel titolo in prima pagina sul “Carnevale in Senato”, fuori stagione naturalmente, per il “ballo in maschera” in cui si sarebbe trasformato l’approdo in aula del disegno di legge contro l’omotransfobia del deputato del Pd Alessandro Zan, accorso in strada in maniche di camicia per sollecitarne l’approvazione. Anche se, in effetti, “urla, fischi e pernacchie”, come riferisce sempre Il Foglio, hanno sommerso quello che doveva essere solo il preambolo procedurale della discussione, conclusosi con la pregiudiziale di incostituzionalità bocciata per 12 voti di scarto, il clima è stato più da stadio che da aula parlamentare. E lo ha avvertito e denunciato per prima la presidente del Senato in persona Maria Elisabetta Casellati Alberti -sfottuta abitualmente dal Fatto Quotidiano come “Queen Elisabeth”-  avvertendo la platea che “i mondiali, anzi gli europei, li abbiamo già vinti” nello stadio giusto.

Pietro Grasso

            La più clamorosa stravaganza, nell’aula di Palazzo Madama, mi è sembrata quella -senza precedenti, che io ricordi- dell’ex presidente Pietro Grasso, oggi senatore semplice, diciamo così, della sinistra dei “liberi e uguali”, che ha intimato alla presidente in carica di “non permettere” il rinvio del provvedimento in commissione. Dove i leghisti avevano proposto appunto di rimandarlo per compiere in extremis un rapido tentativo di larghissimo accordo su qualche modifica allo scopo di metterlo poi al riparo da rischi di bocciatura in aula a scrutinio segreto. La classe evidentemente diventa acqua quando la passione politica prende la lingua, oltre che la mano. Di solito un ex presidente non si rivolge così al suo successore, specie se si tratta rispettivamente di un uomo e di una donna, pur nel rispetto -per carità- della parità di genere. Che non va confusa naturalmente nel linguaggio politico con l’”identità di genere” diventata nel testo della legge all’esame del Senato contro l’omotransfobia uno dei punti più controversi.

            Fra i giocatori di questa partita arrivata nello stadio sbagliato c’è il senatore e leader di Italia Viva Matteo Renzi. Che, pur avendo i suoi deputati partecipato alla votazione del provvedimento a Montecitorio, condivide la necessità di qualche ritocco nell’altro ramo del Parlamento, peraltro sopravvissuto alla sua famosa e sfortunata riforma costituzionale del 2016, perché consapevole che, così com’è, esso rischia una brutta fine. E ciò considerando anche gli auspici di modifiche -neppure di bocciatura- espressi dal Vaticano per mettere, fra l’altro, le scuole cattoliche al riparo dall’insegnamento e dalla propaganda della cosiddetta cultura gender. Secondo la quale conta praticamente più il genere che si avverte o si desidera che quello biologico.

Renzi e Lucio Presta
Titolo di Libero

            Ora, senza volere entrare nel merito dei sospetti, a dir poco, maturati negli uffici della Procura di Roma, trovo, sempre a dir poco, curiosa la coincidenza fra questa nuova partita anche di Renzi, e non solo dell’altro Matteo, che è Salvini, e l’inchiesta giudiziaria  comunicata a mezzo stampa per finanziamento illecito e false fatturazioni a carico dell’ex presidente del Consiglio e, rispettivamente, di Presta padre e figlio, Lucio e Niccolò. Che avrebbero trafficato, diciamo così, con un documentario televisivo di Renzi su Firenze. Sono diabolicamente sfortunati questi magistrati che arrivano sempre nel momento sbagliato al posto secondo loro giusto, ma che spesso si rivela poi sbagliato anch’esso, magari già in fase di indagini, senza neppure un rinvio a giudizio.  

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Che sofferenza per i tifosi di Conte l’Italia in festa con Draghi per gli azzurri

            Diciamola tutta con franchezza, visto anche che gli interessati non hanno saputo neppure nasconderlo. I nostalgici di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, per quanto rinfrancati dall’annuncio di un ritrovato accordo con Beppe Grillo, salvo sorprese negli “ultimi dettagli” ancora da definire fra i due, hanno vissuto una giornata di grande sofferenza o disagio per i riverberi politici e popolari dei campionati europei di calcio vinti dagli azzurri, e per la storica partecipazione di un italiano alla finale di tennis a Wimbledon.

Le feste tra il Quirinale, Palazzo Chigi e le strade e piazze di tutta Italia hanno fatto aumentare nella tifoseria dell’ex presidente del Consiglio la sensazione di una specie di furto con destrezza avvenuto nei mesi scorsi con la caduta del suo governo e l’arrivo di Mario Draghi, e di una ben più larga maggioranza. Dove d’altronde Conte in persona, sempre più insofferente, parla e agisce più da oppositore che da partecipante, peraltro doverosamente a distanza perché non è neppure parlamentare. E di presentarsi alle elezioni suppletive di ottobre per sostituire a Roma una  deputata di 5 stelle dimessasi per un incarico internazionale egli stesso ha detto di non voler più sentir parlare, forse per timore di una bocciatura, viste le fortune calanti dei grillini. Il segretario del Pd Enrico Letta, invece, pure lui ora fuori dal Parlamento, ha appena accettato di candidarsi alle elezioni suppletive, sempre di ottobre, per la sostituzione a Siena del deputato dimissionario Pier Carlo Padoan, designato alla presidenza di Unicredit.

Travaglio sul Fatto Quotidiano

Anziché unirsi alle feste per gli azzurri, Marco Travaglio sul solito Fatto Quotidiano ha preferito sottolinearne o denunciarne gli incidenti con “morti, incendi e spari”, “assembramenti” pericolosi per la pandemia e quant’altro. Sul piano più strettamente politico egli ha protestato contro il tentativo della generalità dei giornali di “raccontare come Draghi abbia vinto gli Europei a distanza, con la sola imposizione delle mani”.  Altra colpa dell’”informazione” sarebbe una specie di sottovalutazione della vittoria di Conte su Grillo all’interno del MoVimento 5 Stelle. Che adesso, guidato appunto dall’ex presidente del Consiglio dopo gli ultimi passaggi più o memo procedurali, potrà farsi valere di più nel governo, e magari uscirne, dopo tutti i torti che avrebbe subito negli ultimi mesi e giorni, compreso il cosiddetto lodo Draghi-Cartabia, approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri per modificare la prescrizione sostanzialmente finta introdotta nel codice dall’ex ministro pentastellato della Giustizia Alfonso Bonafede.

Goffredo Bettini sul Foglio

Lo stesso Travaglio tuttavia ha mostrato alla fine una certa diffidenza per la situazione interna al MoVimento 5 Stelle non escludendo “nuovi stop dopo tanti Conticidi” ,nel cui racconto egli si è specializzato con un libro omonimo, al singolare. Ma per le prospettive di Conte i suoi sostenitori dovranno fare i conti, al plurale, anche con gli altri partiti, a cominciare da quello di maggiore interlocuzione, diciamo così, che è il Pd. Dove persino un estimatore, consigliere, amico e quant’altro come Goffredo Bettini ha appena confermato sul Foglio ospitale di Giuliano Ferrara e Claudio Cerasa di considerare sì Conte come il rappresentante di 5 Stelle “più ragionevole, equilibrato, testardamente unitario anche nei confronti del Pd”, ma col torto dell’”attuale posizione sulla giustizia”. Che non mi sembra francamente questione da poco, visto anche l’energia che ci ha messo Draghi per affrontarla dopo i tanti rinvii del suo predecessore a Palazzo Chigi.

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Grillo e Conte separati dagli “ultimi dettagli”, fra i quali di solito si nasconde il diavolo

Chissà quali sono gli “ultimi dettagli”, come li ha definiti Vito Crimi nell’annuncio ai parlamentari pentastellati, che Beppe Grillo e Giuseppe Conte si sono riservati di definire in un incontro o al telefono per completare l’accordo evidentemente incompleto nel MoVimento 5 Stelle, che sulle prime pagine dei giornali ha fatto compagnia addirittura alla vittoria degli azzurri nei campionati europei di calcio e, sempre a Londra, alla storica finale di tennis perduta con onore dall’italiano Matteo Berrettini. I due – il fondatore e garante del movimento e il rifondatore incaricato, licenziato e riassunto nello spazio di cinque mesi- hanno voluto partecipare a loro modo alla notte magica dei connazionali finalmente e patriotticamente euforici almeno sul piano sportivo.

            Si può fantasticare parecchio, fra retroscena autentici o verosimili, intuizioni e informazioni di prima, seconda e terza mano, secondo i casi, sui dettagli -ripeto- che possono completare ma anche diabolicamente contraddire l’intesa sui compiti che i sette saggi nominati da Grillo dopo la rottura con Conte hanno assegnato ai due. L’uno, il fondatore, sarebbe “garante e custode dei principi e dei valori dell’azione politica” del MoVimento proiettato verso l’Italia del 2050. L’altro, il rifondatore e presidente destinato sarebbe “l’unico titolare e responsabile della determinazione e dell’attuazione dell’indirizzo politico”.

La vignetta di Emilio Giannelli sul Corriere della Sera

            Non vado oltre le virgolette dell’annuncio  della notte magica sotto le cinque stelle per non rischiare anatemi di fronte alla ipersensibilità d entrambi gli attori scontratisi e forse esausti. Di Grillo noi giornalisti dobbiamo ricordare la voglia una volta espressa, e mai riposta, con o senza le scuse del caso, di mangiarci per il gusto di poterci poi “vomitare” infilando le solite due dita in bocca, senza neppure tentare di digerirci. Di Conte abbiamo scoperto, dopo la sua uscita da Palazzo Chigi, la meticolosità con la quale segue cronache e  giudizi sul successore Mario Draghi per esortare i più favorevoli al nuovo presidente del Consiglio a seguire i consigli dati in tempi lontani dal cardinale Alexandre de Talleyrand di non essere troppo zelanti col potente di turno. Che nel caso di Draghi è poi il presidente del Consiglio che lo stesso Conte si è pubblicamente proposto, nel riavvicinamento a Grillo, di contrastare per l’annunciata riforma -o “schiforma”, come la chiama il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio- della prescrizione introdotta nel 2019  dalla maggioranza gialloverde. In vigore dal 2020, e intitolata all’allora ministro pentastellato della Giustizia Alfonso Bonafede, essa lascia a tempo indeterminato i processi oltre il primo grado di giudizio.

            I due o tre anni, secondo la gravità dei reati, previsti da un testo di modifica predisposto dal governo in carica per l’appello e i dodici o diciotto mesi per il pronunciamento della Cassazione prima di incorrere in quella che la nuova guardasigilli Marta Cartabia preferisce definire “improcedibilità” piuttosto che prescrizione, sarebbero per Conte un’”anomalia”, per i suoi sostenitori più fanatici una “vergogna”. O un’amnistia camuffata, secondo una intervista ancora fresca di stampa rilasciata al Fatto Quotidiano dal procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri. Che per caso ha citato fra i reati destinati a fare le spese della riforma Draghi-Cartabia quelli di omicidio colposo e di stupro: omicidio colposo come quello che ha procurato a Grillo padre tanti anni fa la qualifica di “pregiudicato” che Travaglio è sempre pronto a rinfacciare ad ogni condannato in via definitiva, e a Grillo figlio una richiesta di rinvio a giudizio, insieme con amici, nel tribunale di Tempio Pausania per una notte da “coglioni” -parola sempre di Grillo padre- trascorsa ad Arzachena nell’estate del 2019.

            Alla notte di due anni fa in Sardegna “la cattiveria” di giornata del giornale di Travaglio ha ieri paragonato in qualche modo quella della settimana scorsa a Palazzo Chigi. Dove Draghi avrebbe giocato con i ministri grillini come gli amici di Ciro con una delle due coetanee ospiti. “Mancava poco -dice il corsivetto fulminante del Fatto– che Draghi si facesse una foto col pisello di fuori sui ministri 5S che dormivano”.

La vignetta di Vauro sul Fatto Quotidiano

            Non credo, per carità, che saranno questi i “dettagli” di ben poco gusto che Grillo e Conte si sono riservati di definire sulla strada del chiarimento dei loro rapporti, anche se, a dire il vero, nel contenzioso i sostenitori dell’ex presidente del Consiglio hanno inserito il ruolo di “palo a Draghi” che il fondatore e garante del MoVimento 5 Stelle, secondo titoli e cronache sempre del Fatto Quotidiano, avrebbe svolto la settimana scorsa chiamando o solo ricevendo una telefonata di Draghi in difficoltà con i suoi ministri, poi convinti dal comico allo “sbraco”, sempre secondo cronache e titoli del giornale di Travaglio. Piuttosto, Grillo e Conte dovranno quanto meno consultarsi sulle complicazioni che il loro scontro ha prodotto nei rapporti fra il MoVimento e gli altri partiti della maggioranza, a cominciare dal Pd. Che ha difeso come più non si poteva, quasi come i due odiati Mattei, Renzi e Salvini, la riforma o il lodo Cartabia-Draghi sulla prescrizione, o improcedibilità, e ha chiesto garanzie sulla durata del governo attuale sino alle elezioni ordinarie del 2023.

Pubblicato sul Dubbio

La notte magica degli italiani, ma ancor più magica di Giuseppe Conte e amici

            Magica per tutti gli italiani, la notte della vittoria degli azzurri nella bellissima finale londinese dei campionati europei di calcio, peraltro preceduta nel pomeriggio dalla splendida figura fatta a Wimbledon dal pur sconfitto Marco Berrettini alla finale di tennis, ancora più magica lo è stata al Fatto Quotidiano. Dove sotto una sovranista “Brexit azzurra” -preferita chissà perché ai titoli forse più consoni usati da altri giornali come “l’Europa siamo noi”, “Siamo i campioni”, “Grazie azzurri”- hanno preferito gridare ancora più festosamente o rumorosamente la vittoria di Conte su Grillo nel MoVimento 5 Stelle come “unico titolare dell’iniziativa politica”, hanno spiegato i solerti sostenitori dell’ex presidente del Consiglio. Del quale hanno esaltato il compito propostosi di contrastare la riforma della prescrizione targata Cartabia-Draghi e fatta presuntivamente ingoiare dai ministri pentastellati da Grillo prima che da garante, fondatore e quant’altro accettasse di occuparsi in futuro solo “dei principi e dei valori dell’azione politica”.

Così dice il testo del nuovo statuto messo a punto dai sette saggi nominati dallo stesso Grillo, che tuttavia si è riservato, come ha annunciato Vito Crimi ai parlamentari pentastellati, di avere con Conte un incontro per definire “gli ultimi dettagli”. Fra i quali, come dice un vecchio proverbio, si nasconde sempre il diavolo. E si sa quanto quest’ultimo sia metaforicamente di casa nelle ville di Grillo scomponendogli all’occorrenza i capelli già indiavolati di loro in occasione delle incursioni video nelle vicende politiche e da qualche tempo anche giudiziarie di turno sulle prime pagine dei giornali.

Proprio a proposito di queste vicende, non so se definire più infelici o perfidi lo spazio e il titolo, sempre in prima pagina, di una intervista del notissimo capo della Procura di Catanzaro, Nicola Gratteri, al Fatto Quotidiano sugli effetti della riforma -o “schiforma”, come la chiamano da quelle parti- della prescrizione impostata dal governo. “Processi al macero, anche su stupri e omicidi colposi”, ha denunciato Gratteri pur sapendo -credo- che questi sono reati sensibili, diciamo così, per la famiglia Grillo, tra il padre “pregiudicato” -direbbe Travaglio- per un brutto e mortale incidente stradale di tanti anni fa e il figlio Ciro per una notte da “coglione” -parola dello stesso comico- trascorsa con amici nell’estate di due anni fa nella sua casa di Arzachena. Il 5 novembre forse sapremo, con calma, se il giovanotto e gli amici di sospetto stupro saranno rinviati a giudizio.

In attesa degli sviluppi della vicenda giudiziaria di Grillo junior, Il Fatto Quotidiano -sempre lui- ha rifilato oggi ai lettori come “cattiveria” di giornata quattro righe, diciamo così, micidiali a proposito dell’ultima seduta del Consiglio dei Ministri: quella nella quale Draghi, forte anche di una telefonata ricevuta o fatta a Beppe Grillo, è riuscito a fare approvare all’unanimità le proposte di modifica alla prescrizione di Bonafede, il ministro pentastellato della Giustizia nei due governi di Conte, che consente ai processi dopo la sentenza di primo grado di durare all’infinito, anziché dai due ai tre anni o dai 12 ai 18 mesi proposti adesso dal governo in carica per i passaggi, rispettivamente, in appello e in Cassazione. “Ormai -dice la “cattiveria” del giornale di Travaglio ispirandosi alla notte brava di Arzachena- mancava poco che Draghi si facesse una foto col pisello di fuori sui ministri M5S che dormivano”. E che Conte si è proposto di svegliare, e magari anche di far dimettere per un Draghificio tutto da scrivere, dopo il Conticidio già uscito.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Il mistero della telefonata galeotta fra Grillo e Draghi, o viceversa

            Attesa con curiosità pur scettica una smentita o una precisazione, entrambe mancate, della telefonata fra Mario Draghi e Beppe Grillo rivelata dal Fatto Quotidiano, e svoltasi a ridosso del Consiglio dei Ministri sugli emendamenti del governo alla riforma del processo penale all’esame della Camera, è rimasto il mistero di chi dei due abbia chiamato l’altro.

Titolo del Fatto Quotidiano

Se è stato Grillo a offrirsi da “palo”, come ha titolato il giornale di Marco Travaglio, nell’assalto furtivo al sostanziale divieto di prescrizione dopo la sentenza di primo grado introdotto nel 2019 dall’allora ministro pentastellato della Giustizia Alfonso Bonafede, può avere ragione, dal suo punto di vista, l’arrabbiatissimo Travaglio. Che ora, scrivendo di sé e dei suoi in terza persona, riferisce di un “pressing su Conte” perché “esca” dal MoVimento 5 Stelle, cui però non risulta iscritto, per vendicare con una scissione e con la rottura con Draghi il presunto tradimento.

Editoriale, ieri, di Travaglio

Con il suo intervento per telefono, anche sui ministri pentastellati perché votassero le scelte di Draghi e della “vispa Cartabia”, come Travaglio ha definito sarcasticamente la guardasigilli, Grillo avrebbe violato sotto le cinque stelle la tregua  nello scontro con Conte segnata dal ricorso ad un comitato di saggi per la formulazione di un nuovo statuto. E si meriterebbe pertanto la rivolta dei parlamentari tentati da Conte, affezionatissimo alla prescrizione targata Bonafede, pronti alla scissione o comunque al boicottaggio, tra Camera e Senato, della prescrizione targata Cartabia. Che fissa tempi precisi per la “improcedibilità” penale fra appello e Cassazione. “Per fortuna- ha scritto ieri Travaglio- la porcata è ancora sulla carta….Chi ama la legalità e non vuole l’impunità tenga d’occhio i deputati e i senatori: il Fatto pubblicherà i nomi di quelli che voteranno a favore. Poi gli elettori faranno il resto”.

            Se è stato invece Draghi a chiamare Grillo assumendone la capigliatura, come lo rappresenta Mannelli sempre sul Fatto Quotidiano chiamandolo “Psicodrago”, variante dello “Psiconano” spettante a Silvio Berlusconi, dissentirei dalle proteste di Travaglio e seguaci, o tifosi.

             Non va dimenticato che Grillo è stato l’interlocutore principale di Draghi, in rappresentanza del MoVimento 5 Stelle, nelle trattative per la formazione del governo in carica e della relativa maggioranza parlamentare. Tutto quello che è successo nel MoVimento dopo quelle trattative, dall’incarico di rifondatore conferito da Grillo a Conte una domenica mattina di febbraio al licenziamento, e poi a qualcosa che non si sa proprio come chiamare fra riassunzione, recupero, congelamento, sospensione, è storia privata degli interessati. Che il presidente del Consiglio ha appreso, come tutti noi, dai giornali e costituisce, essa sì, un’”anomalia”, come Conte ha preferito chiamare invece la prescrizione targata Cartabia e Draghi. E’, in particolare, l’anomalia del Movimento 5 Stelle, tornato in Parlamento nel 2018 come forza di maggioranza relativa e diventato strada facendo qualcosa obiettivamente di impalpabile, di indefinito, d’incerto, cui la legislatura è rimasta incondizionatamente appesa sino all’esplosione di una triplice emergenza -sanitaria, economica e sociale- che ha costretto il presidente della Repubblica a mandare per fortuna a Palazzo Chigi Mario Draghi, detto anche non a torto “Supermario”.  Che piace sempre meno a Conte e sempre di più a Grillo, temo pensando a ciò che ne scrive ogni giorno Travaglio.

Ripreso da http://www.policymakermag.it

Enrico Letta sbotta contro Conte e reclama un chiarimento nei rapporti con Draghi

            Tra gli effetti collaterali della svolta imposta dal presidente del Consiglio alla riforma del processo penale con le modifiche varate dal governo alla legge all’esame della Camera il più importante non è l’accresciuto e scontato marasma fra i grillini ma la dura reazione del segretario del Pd Enrico Letta alla posizione critica assunta dall’uomo su cui egli aveva maggiormente puntato nei rapporti col MoVimento 5 Stelle. Alludo naturalmente a Giuseppe Conte, il “maggiore punto di riferimento” dell’area progressista indicato a suo tempo dal predecessore di Letta al Nazareno.

            In una sequenza di tempi che parla da sola, e di cui sarebbe offensivo per l’intelligenza sostenere la casualità, alla insoddisfazione espressa pubblicamente da Conte, per quanto non partecipe delle trattative o simili svoltesi a Palazzo Chigi, Letta ha opposto una sostanziale e forte richiesta di chiarimento politico. Il segretario del Pd non poteva certo riferirsi, come al solito, solo o prevalentemente ai due Mattei da cui spesso sembra ossessionato, cioè Salvini e Renzi, entrambi partecipi della maggioranza di emergenza formatasi attorno all’esecutivo in carica, quando ha detto a un convegno di giovani imprenditori, a Genova, che bisogna precisare “cosa vogliamo fare in Italia del governo Draghi”.

            La posizione del Pd -ha affermato Letta -è che Draghi debba restare a Palazzo Chigi, ed essere sostenuto con convinzione, “per tutta la legislatura, fino alle elezioni del marzo 2023, perché l’Italia un’occasione così non l’ha mai avuta”. Cioè, non ha mai avuto un governo con tanto credito all’estero e tanto da fare cft5per non perdere i finanziamenti europei al piano della ripresa, condizionati proprio alla realizzazione delle riforme, compresa quella della giustizia. Naturalmente mantenere Draghi a Palazzo Chigi sino alla fine della legislatura significa non iscriverlo né d’ufficio né d’altro alla corsa al Quirinale in vista della scadenza, fra poco più di sei mesi, del mandato di Sergio Mattarella. E neppure questa è precisazione occasionale da parte del segretario del Pd, comprensibilmente refrattario a un ruolo di semplice spettatore di quella corsa.

            Dire “io sostengo Draghi fino alla fine della legislatura” -ha affermato Enrico Letta- non è come dire “io lo sostengo ma prima finisce e meglio è”. Che invece è la logica desumibile dalle distanze che Conte prende continuamente dalle decisioni e scelte di Draghi, comprese quelle per la modifica della prescrizione voluta dal precedente ministro pentastellato della Giustizia, Alfonso Bonafede. Al quale peraltro Conte deve l’ingresso nel mondo grillino prima come possibile ministro della pubblica amministrazione, in un governo monocolore pemtastellato, e poi la promozione a presidente del Consiglio di governi di obbligata e cangevole coalizione. Di quella prescrizione non si dirà mai male abbastanza per la figura dell’imputato a vita prodotta dall’eliminazione di ogni scadenza temporale per i processi che dovessero durare oltre la sentenza di primo grado.

Titolo del Fatto Quotidiano

E’ un tipo di prescrizione, quella di Bonafede, che Grillo ha peraltro rischiato di sperimentare nella vicenda giudiziaria del figlio Ciro per stupro rinfacciatagli adesso nello stesso Movimento 5 Stelle da militanti che lo hanno accusato di essere addirittura “ricattato”. Si spiegherebbe così l’aiuto che il “garante” avrebbe fornito a Draghi nel varo delle modifiche al processo penale. Con una certa perfidia Il Fatto Quotidiano vi ha dedicato uno dei titoli di giornata. Un altro è su Grillo “palo di Draghi”.

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Si invertono i ruoli di Grillo e Conte: l’uno a favore, l’altro contro il governo

Il titolo del Fatto Quotidiano contro il garante del MoVimento sulla riforma del processo penale

A dispetto di tutto quello che si è detto e si è scritto sui grillini alle prese tormentate con l’esaurimento della pazienza umana e politica del presidente del Consiglio Mario Draghi e della guardasigilli Marta Cartabia sulla riforma del processo penale all’esame della Camera, per cui il Consiglio dei Ministri ha varato le modifiche del governo col consenso di quelli che Marco Travaglio ha irosamente definito sul suo Fatto Quotidiano “i calabrache” 5 Stelle, sul blog personale del fondatore, garante, elevato e quant’altro del MoVimento omonimo non si è trovata una sola parola sull’argomento.

La vignetta del blog di Grillo

            Almeno sino a quando l’ho consultato, prima di mettermi a scrivere queste riflessioni, il blog del comico genovese era fermo al ripudio dello statuto predisposto da Giuseppe Conte quando ancora lavorava nel cantiere della rifondazione del movimento affidatogli dallo stesso Grillo.  Di nuovo, rispetto ad una precedente consultazione, ho trovato solo una vignetta di Davide Charlie Ceccon dedicata ad un imprenditore desolatamente confesso di “cagarsi addosso”, testualmente, “sette giorni su sette”, nonostante -presumo- gli sforzi che a Palazzo Chigi Mario Draghi cerchi di fare, anche lui sette giorni su sette, di ispirargli fiducia. Ma questa è l’unica allusione polemica che, a torto o a ragione, ho colto nel blog grillino alle condizioni politiche del Paese e, volendo, anche all’azione del governo così fortemente voluto anche da Grillo e partecipato da ministri e sottosegretari pentastellati.

Alfonso Bonafede. ex ministro della Giustizia

            Penso tuttavia, come anticipato con quel torto abbinato alla ragione, di essere andato oltre il dovuto nella interpretazione della vignetta in questione. E ciò perché, a parte questa mia forse cervellotica interpretazione, non ricordo da qualche mese a questa parte alcuna sortita esplicita di Grillo contro il governo. E neppure nelle ultime ore contro la “schiforma”- come la chiama sempre Travaglio- della tanto decantata riforma della prescrizione voluta al Ministero della Giustizia quando a dirigerlo era lo stellatissimo Alfonso Bonafede.  Non mi risulta che Grillo si sia lasciato coinvolgere nelle convulsioni dei suoi “portavoce” e simili. Il garante se n’è tenuto lontano, non so francamente se più per indifferenza o per calcolo, interessandogli forse in questo momento solo o soprattutto la partita apparsa a molti di carattere soprattutto personale con l’ex -temo- amatissimo Conte. Dal quale Grillo, parlandone di recente ai parlamentari del suo MoVimento, si è notoriamente e clamorosamente sentito scambiare per “un coglione” al quale poter togliere i poteri assegnatisi con tanto di norme e soprattutto di pratica.

            Siamo però sicuri, a questo punto, che sia stato e sia solo o prevalentemente di natura personale la rottura consumatasi tra Grillo e Conte? Alla quale stanno cercando di riparare sette saggi rispettivamente incaricati e accettati dagli stessi Grillo e Conte di salvare dal cestino le bozze del nuovo statuto predisposto dall’ex presidente del Consiglio recependone una parte nel progetto a loro affidato. I dubbi mi vengono perché più passano i giorni, più si accavallano i problemi di governo e di maggioranza, per non parlate di quelli del Paese, più Conte prende le distanze da Draghi, come sembra avvenuto dietro le quinte anche nella preparazione e nel varo delle modifiche del governo alla riforma del processo penale, più mi sorge o si rafforza il sospetto che si è consumata proprio su queste distanze la rottura fra fondatore e rifondatore incaricato del MoVimento.

            Gli specchi sotto le stelle si sono rotti. E dalle loro schegge, a volere cercare di comporle, escono immagini rovesciate rispetto a quelle che per pigrizia o istinto avevamo un po’ tutti elaborato nei mesi e negli anni scorsi. In particolare, ci eravamo abituati a pensare che Grillo fosse, magari per il suo stesso mestiere di comico, l’irrazionale, il guastafeste, l’impulsivo, il collerico, il battutista incontenibile, capace proprio con le sue battute di procurarsi danni incalcolabili, come lui stesso ha mostrato recentemente di riconoscere, e Conte invece il moderato, il riflessivo, il costruttore, addirittura l’umanista in uno scenario involgarito  anche dai “vaffanculo” del comico genovese.

            In realtà, prendendo quali punti di riferimento, come dovrebbe avvenire in condizioni normali, il modo di porsi e di confrontarsi col governo, sia quando si è all’opposizione sia o soprattutto quando se ne fa parte, Grillo finisce per sembrare più calmo, più disponibile, più ragionevole di Conte nei confronti di Draghi. E chissà che non sia stato proprio questo -col conseguente rischio di scivolare sulla strada di Conte verso una crisi di governo nel momento considerato il meno rischioso possibile per l’impossibilità del capo dello Stato di sciogliere le Camere negli ultimi sei mesi del proprio mandato, che stanno appunto per cominciare- a togliere ogni remora a Grillo: lui, poi, che già di suo ne ha poche. E a spingerlo a denudare politicamente Conte.

Come ogni re nudo, pur con tutti gli stracci che gli possono mettere addosso i saggi di turno, l’ex presidente del Consiglio ha comprensibili difficoltà a improvvisare un regno alternativo. Che sarebbe in questo caso un movimento tutto suo, per forza di cose opposto a quello di Grillo e concorrente, peraltro, con quel Pd che lo aveva forse troppo precipitosamente promosso a suo interlocutore privilegiato. Anche sotto questo aspetto, a furia di giocarvici, gli specchi forse si sono rotti, visto che il segretario piddino Enrico Letta ha appena sfidato anche Conte a pronunciarsi chiaramente sulla permanenza di Draghi a Palazzo Chigi sino alla conclusione ordinaria della legislatura, nel 2023, peraltro senza dirottamenti al Quirinale al termine del mandato di Sergio Mattarella.

Pubblicato sul Dubbio

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