Vi raccomando, diciamo così, quel carattere “interlocutorio” che al Quirinale hanno voluto dare all’incontro che il capo dello Stato ha avuto col presidente del Consiglio, reduce dalla fiducia a maggioranza assai relativa ottenuta al Senato e da una consultazione riservata con i leader dei partiti residui della coalizione di governo, dopo la rottura con Matteo Renzi. Che sarà pure uscito indebolito dalla crisi non crisi, dichiarata dallo stesso presidente del Consiglio benché non aperta per il suo rifiuto di dimettersi, ma rimane pur sempre in campo con quei voti di astensione senza i quali a Palazzo Madama sarebbero di fatto prevalse le opposizioni di centrodestra. E la crisi si sarebbe dovuta aprire per forza per mancata, anzi negata fiducia.
Come ha puntualmente riferito sul Corriere della Sera Marzio Breda – l’unico o fra i pochissimi che riescono a strappare qualche significativo monosillabo o altrettanto significativa espressione facciale da quelli che egli ha ironicamente definito “prigionieri di guerra” di Sergio Mattarella, tenuti a rispondere alle richieste di notizie e chiarimenti opponendo solo “nome, grado e numero di matricola”- Conte
salendo al Colle ha potuto raccogliere dal capo dello Stato non consigli, dopo tutti quelli già fornitigli e forse non ascoltati, ma “preoccupazioni”. Che francamente non possono considerarsi infondate di fronte alla fiducia “risicata e avventurosa” -parole sempre di Breda- ottenuta dal presidente del Consiglio al Senato. Dove -sia detto per inciso, non pescando nell’articolo del quirinalista del Corriere della Sera- si parla ormai non più o non solo del “governo Conte-Mastella”, dalla consorte del sindaco di Benevento che ha votato a favore mentre il marito continua a cercare altri aiuti per il futuro, ma del “governo Conte-Ciampolillo”, dal senatore ex grillino Alfonso, arrivato all’ultimissimo istante in soccorso di Palazzo Chigi e noto per la convinzione che col sapone si possa curare tutto: dalla malattia degli ulivi al Covid. E’ uno che dopo avere conquistato con la sua corsa le prime pagine dei giornali si è anche divertito a candidarsi a ministro dell’Agricoltura, raccogliendo l’interim assunto da Conte dopo le dimissioni della renziana Teresa Bellanova.
Per tornare invece a Breda e alla sua corrispondenza, chiamiamola così, da un Quirinale che conosce ormai
come le stanze di casa, Mattarella è “assillato dal problema della governabilità” perché la compagine ministeriale di Conte, invariata o rimpastata che sia, “sarà messa alla prova ogni giorno”. E “la ricerca dei numeri in aula rischia di essere una torturante via crucis”.
Scontata la salvaguardia dei provvedimenti economici più urgenti, la cui approvazione è stata già garantita dalle opposizioni, che cosa accadrà -ha
chiesto Breda- fra pochi giorni, quando il Guardasigilli Bonafede, capo della delegazione grillina al governo, presenterà il suo “divisivo” progetto di riforma della giustizia? Il governo “cercherà un’impervia fiducia anche allora?”.
Mattarella insomma resterà alla finestra, dove Conte lo ha voluto mettere e lasciare rifiutando con le dimissioni l’apertura formale di una crisi che spetta al presidente della Repubblica gestire. Ma vorrà o dovrà restarvi fino a quando? La sua “moral suasion si sta esaurendo”, ha avvertito Breda, mentre il vignettista Emilio Giannelli, sempre sul Corriere, gli attribuisce contrarietà alla teoria andreottiana del “meglio tirare a campare che tirare le cuoia” da cui Conte sarebbe tentato.
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parlandone alle Camere come di una cosa “aperta” dopo l’uscita delle due ministre renziane e la conferenza stampa esplicativa dello stesso Renzi, non ha voluto per niente aprire con le dimissioni. Pertanto il presidente della Repubblica ha dovuto starsene alla finestra, in paziente attesa che il presidente del Consiglio seguisse il percorso preferito alle tradizionali consultazioni al Quirinale, eventuale rinvio alle Camere o conferimento dell’incarico per risolverla.
della crisi, sicuro di raccogliere fuori dai confini originari del suo secondo governo tanti voti da mettere definitivamente fuori gioco l’ex sindaco di Firenze, ex presidente del Consiglio, ex segretario del Pd e ora leader della piccola ma non travolta formazione parlamentare di Italia viva. Cui personalmente attribuisco la colpa, quanto meno, di avere restituito alle cronache politiche una sigla –Iv– che era scomparsa con la fine non proprio gloriosa dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro.
passaggio del precedente articolo sul fantasioso sindaco di Benevento- colpisce la indiscutibile debolezza considerando la gravità dei problemi ancora aperti nel Paese: oltre alla crisi non crisi di governo, la perdurante pandemia, le incognite della campagna di vaccinazione, una sostanziale recessione economica, l’aumento degli squilibri sociali, le perduranti difficoltà nei rapporti con l’Unione Europea. Dove un commissario pur ben disposto verso l’Italia come l’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha fatto già sapere che il piano di utilizzo dei fondi continentali della ripresa non va bene neppure con le modifiche migliorative apportate al testo originario contestato da Renzi.