Se Conte, incassata la fiducia della Camera, riuscirà ad ottenere anche quella del Senato, magari pur senza raggiungere e superare la maggioranza assoluta come
a Montecitorio, la crisi potrebbe
ritenersi evitata, almeno sulla carta. E Sergio Mattarella al Quirinale, come hanno anticipato i giornali, farebbe probabilmente buon viso al cattivo gioco di una maggioranza complessivamente “fragile” o “debole”, secondo i titoli di Repubblica e del Messaggero, sperando con Conte e i suoi sostenitori che i voti eventualmente mancati a Palazzo Madama a maggioranza
assoluta potranno arrivare in seguito. “I numeri seguono il governo”, ha detto con ottimismo Clemente Mastella, guadagnatosi in questi giorni la figura, il ruolo e quant’altro di arruolatore dei “volontari” invocati dal presidente del Consiglio.
Ma perché i numeri seguano il governo bisognerà pur sempre cercarli o attirarli con i più diversi argomenti, anche quelli non proprio ideali. Il secondo governo Conte diverrebbe insomma quello della pesca continua. Sarebbe una fatica immane. Ad alleggerirla non so francamente se basterà la paura delle elezioni anticipate, peraltro inesistente per sei mesi da luglio in poi, quando il capo dello Stato ormai
in scadenza perderà la prerogativa dello scioglimento delle Camere prima della scadenza del loro mandato. Proprio in quel semestre Conte, per quante telefonate potrà spendersi col nuovo presidente americano Joe Biden, che ha già sostituito nel suo cuore il Donald Trump del “Giuseppi”, potrà rischiare più di quanto non gli sia capitato nelle settimane scorse, da quando Matteo Renzi, prima con l’appoggio del Pd e poi da solo, gli contestò dentro la maggioranza metodi e contenuti dell’azione di governo.
Il presidente della Repubblica, dal canto suo, nel cosiddetto semestre bianco se da una parte è o sembra depotenziato, dall’altra avrebbe più mano libera nella gestione di una eventuale crisi di governo, questa volta vera, con tanto di sfiducia e di dimissioni obbligate del presidente del Consiglio. In particolare, non potendo più sciogliere le Camere il capo dello Stato potrebbe valutare la situazione del Paese così preoccupante da promuovere la formazione di un governo difforme dalle attese, dalle ambizioni, dagli interessi dei partiti e sfidarli davanti all’opinione pubblica a bocciare un nuovo esecutivo da lui ispirato. Una sfiducia aggraverebbe la crisi in uno scenario che farebbe bene a temere Conte per primo, prodigatosi allo spasimo nei giorni scorsi per asserragliarsi o blindarsi a Palazzo Chigi.
Chi ha assecondato o addirittura sollecitato questo arroccamento ha richiamato con poca onestà intellettuale e politica il precedente del sesto governo di Giulio Andreotti, abbandonato nel 1990 per protesta contro la legge Mammì sulle Tv da cinque ministri della sinistra democristiana e rimasto lo stesso al suo posto. I dimissionari furono sostituiti in quattro e quattr’otto dal presidente della Repubblica Francesco Cossiga su
proposta del presidente del Consiglio. Ma ciò accadde perché la Dc, guidata da Arnaldo Forlani con la sinistra interna all’opposizione, lasciò isolati i ministri
protestatari, cioè li scaricò, come ricorda bene Mattarella essendo stato uno dei loro. Italia viva, il partito di Matteo Renzi che inutilmente in questi giorni Conte ha cercato di spaccare irrigidendosi e proclamando “mai più al governo”, non ha sconfessato le ministre dimissionarie, e tanto meno il suo leader. Che sarà antipatico e indebolito ma è ancora lì, sul campo.
Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it
di Silvio Berlusconi e ministro della Giustizia col centrosinistra di Romano Prodi.
e spavalderia succursali, a seconda delle circostanze e degli interlocutori, del Quirinale e di Palazzo Chigi. “Io sono il medico della crisi”, ha appena dichiarato facendo non so se sobbalzare o ridere il presidente della Repubblica, che in questo campo si sente probabilmente, e non a torto, l’unico a poter emettere ricette, prescrivere cure ed eseguire interventi chirurgici come lo scioglimento delle Camere.
Lo ha conosciuto solo in ottobre del 2019, con De Mita ed altri amici della disciolta Dc, alla commemorazione di Fiorentino Sullo, affidata in un teatro di Avellino proprio a Conte dal presidente dell’omonima fondazione Gianfranco Rotondi, deputato di Forza Italia. Che avrebbe voluto consegnare all’oratore, al termine del discorso, una tessera della Dc se avesse potuto disporne. E Conte sorrise, compiaciuto e disponibile ad altre commemorazioni che potessero
ulteriormente accreditarlo nel filone dei cattolici impegnati in politica, estimatore come si era già dichiarato del compianto e conterraneo Aldo Moro. Cui anche Mastella lo ha in qualche modo paragonato in questi giorni, pur considerandolo a lui inferiore, un po’ “figlio ‘e entrocchia” quale Moro dall’alto della sua autorevolezza non si poteva certamente bollare.
al seguito, per dare a Massimo D’Alema i numeri parlamentari necessari a garantirgli la maggioranza nella successione a Romano Prodi a Palazzo Chigi, dopo che Fausto Bertinotti lo aveva fatto cadere da sinistra. Gli “straccioni” di Cossiga e Mastella invece venivano dal centrodestra. E seppero far vincere D’Alema come quelli veri di Valmy nel 1792 procurarono alla Francia rivoluzionaria e malmessa una clamorosa vittoria sulle truppe prussiane e austriache lanciate verso Parigi.
nel governo Conte eventualmente rimpastato, non riescono a capacitarsi: del fatto che Pd e grillini, beneficiari delle terapie di Clemente, vogliano a Benevento impedirne la rielezione a sindaco in primavera. Ingrati che non sono altro.