Le riserve di Meloni e di Gentiloni sui “dettagli” dei dazi americani del 15 per cento sui prodotti europei

         E’ certamente significativa la riserva che la premier Giorgia Meloni si è presa prudentemente di esaminare “i dettagli” dell’accordo fra Trump e l’Unione Europea sui dazi americani al 15 per cento per valutarne appieno la portata e confermare la tendenza, diciamo così, mostrata per un giudizio positivo, essendo l’alternativa una più grave guerra commerciale fra le due sponde dell’Atlantico. E’ nei dettagli, del resto, che si nasconde proverbialmente il diavolo.

         In apparenza 15 è la metà di 30: quanto Trump aveva annunciato, ma non si sa, per esempio, se contiene o si aggiunge al circa 5 per cento di media che vigeva prima del negoziato, ha avvertito, per esempio, e giustamente, il vice direttore del Corriere della Sera Federico Fubini parlandone in onda a la 7.

         Ci sono “deroghe” genericamente annunciate su chip e prodotti agricoli, il capitolo rimasto aperto sugli acolici e altri dettagli, ripeto, che potrebbero cambiare, e di molto, le valutazioni dei danni alle industrie e all’economia dei paesi europei da compensare con misure di sostegno.

         La riserva, diciamo pure le riserve, al plurale, che sono state prese dalla Meloni sui dettagli non coincidono non si sovrappongono di certo, ma confinano quanto meno con quelle dell’ex commissario europeo ed ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, del Partito Democratico. Che ne ha scritto su Repubblica ricordando, fra l’altro, che di dettagli ancora da scoprire o valutare è pieno anche l’accordo raggiunto con Trump, prima dell’Unione Europea, dal Giappone. E avvertendo che comunque quella derivante dall’intesa fra Donald Trump e Ursula von der Leyen – con la solita stretta di mano e la promessa, quanto meno, del presidente statunitense di “più amicizia” verso gli europei “scrocconi” di altre recenti circostanze-  sarà, anzi è una “supertassa”. Costosa e sgradevole come tutte le supertasse.

         Anche se “c’è poco da festeggiare”, come ha scritto in apertura del suo commento, e se da parte europea, col concorso del governo italiano ci sarebbe stata poca forza, diciamo così, nella trattativa col presidente americano, peraltro conclusasi nell’abituale incertezza o imprevedibilità, essendo Trump mutevole di umori e persino interessi, Paolo Gentiloni ha voluto distinguersi dal tono e dal contenuto catastrofistico delle reazioni della segreteria del suo partito ed altri esponenti più o meno autorevoli del campo santo, piuttosto che largo, della futuribile alternativa al centrodestra.

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