Continua a Milano la spasmodica attesa delle manette per Cementopoli

         Ha fatto notizia sulla prima pagina di Repubblica -l’unica fra quelle selezionate quotidianamente dalle rassegne parlamentari della stampa- l’ostinazione, probabilmente anche condivisa nell’intimo giustizialista, con la quale i pubblici ministeri di Milano hanno ribadito la richiesta di arrestare gli indagati sull’urbanistica ambrosiana, anche dopo gli interrogatori di garanzia eseguiti dal giudice competente.

         L’indagine milanese, che intanto ha provocato le dimissioni dell’assessore comunale Tancredi e l’entrata della giunta di Beppe Sala in una cosiddetta “fase due”, dai caratteri correttivi richiesti dal partito principale della maggioranza, che è il Pd, ha forse trovato un suo nuovo nome mediatico. Glielo ha applicato lo storico settimanale Espresso, che ha gridato in copertina Cementopoli. Avrà probabilmente più fortuna di altri ispirati sempre alla madre, diciamo così, di tutte le vicende giudiziarie di questo tipo che fu chiamata Tangentopoli nel 1992. Un nome che smentisce da solo il tentativo compiuto in questi giorni da Antonio Di Pietro, fra i protagonisti giudiziari di quell’anno, di distinguere le sue famose “mani pulite”, che avrebbero riguardato solo i reati e i loro responsabili, da quelle in corso ora a Milano, che sembrano perseguire, colpire e quant’altro “un fenomeno”.  Col rischio conseguente di bloccare lo sviluppo di una metropoli e di interferire con la politica dalle cui scelte esso deve dipendere.  Non dalla preferenza del modello che Di Pietro ha ironicamente, anzi sarcasticamente indicato nel “geometra di Canicattì”.

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