Paolo Gentiloni, già presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e commissario europeo, ogni tanto indicato dai retroscenisti come una riserva del Pd in grado di assumerne la segreteria se gliene fosse offerta l’occasione, è tornato a suonare una musica diversa da quella di Elly Schlein, come sul problema del cosiddetto riarmo, di fronte ai dazi al 30 per cento sui prodotti europei programmati dal presidente americano Donald Trump. Le cui lettere “come temporali estivi possono produrre effetti disastrosi”, ma sono pur scritte da “un interlocutore tutt’altro che onnipotente”, giù spintosi tante volte troppo avanti per tornare poi sui suoi passi. “Al dunque fa sempre marcia indietro”, ha scritto l’ex presidente del Consiglio di Trump sulla Repubblica.
Gentiloni ha preferito quindi “capire” la prudenza opposta all’ultima lettera, anzi penultima, del presidente americano dalle due donne dell’Europa che sono la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e la premier italiana Giorgia Meloni. Le quali ritengono esistano margini di trattativa e sono decise a coltivarli, piuttosto che unirsi alla pratica d’assalto preferita, allo stato delle cose, dal presidente francese Emmanuel Macron in clima rievocativo della presa della Bastiglia del 14 luglio 1789.
“L’Europa -ha concluso Gentiloni- finalmente si sta muovendo. Più che un bolide sembra una carovana. Ma è la nostra carovana”. Al di fuori della quale tutto diventerebbe per tutti ancora più difficile e rischioso. Una lezione, direi, di pragmatismo alla segretaria del Pd un po’ distratta, diciamo così, dall’inseguimento di Giuseppe Conte nella corsa a Palazzo Chigi per la pur improbabile alternativa al centrodestra.
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