
Dubito -e come non potrei in un giornale che si chiama Il Dubbio?- che il richiamo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la successiva telefonata della premier Giorgia Meloni al tycoon amico abbiano davvero chiuso il caso aperto da Elon Musk negli Stati Uniti criticando l’”autarchia” dei giudici italiani. Che con le loro decisioni proteggono i migranti clandestini a rischio di rimpatrio in paesi dalla controversa sicurezza, diciamo così. Controversa, perché la classificazione datane prima in atti amministrativi e poi in una norma di legge viene contestata da magistrati che la ritengono in contrasto con sentenze e disposizioni europee, per non parlare della nostra stessa Costituzione.

Lungi dalle scuse che pure qualcuno gli ha attribuito riferendone la telefonata con la premier italiana, Musk si è limitato a condividere il “rispetto” della Meloni per il Capo dello Stato, ha rivendicato il diritto di avere ed esprimere le proprie opinioni e, nell’auspicare un incontro con Mattarella, si è evidentemente riservato di ribadirgli quello che pensa di quanto accade in Italia nei rapporti fra governo e magistratura. A proposito dei quali si può certamente dire, come ha sostenuto o ammonito Mattarella, che sappiamo cavarcela da soli, ma anche temere che creino problemi di natura internazionale quando è in gioco un fenomeno come la immigrazione clandestina. Che travalica ormai, per le sue dimensioni e i suoi riflessi, i confini nazionali.

Alexander Stille in una intervista al Fatto Quotidiano ha esortato dagli ormai suoi Stati Uniti a non sopravvalutare, o addirittura “prendere suo serio”, il pur ricchissimo amico, consulente, finanziatore di Donald Trump, che ha appena vinto la corsa alla Bianca. Dove tornerà il 20 gennaio ma vi si è appena affacciato su invito del presidente uscente Joe Biden ponendo davvero fine alla campagna elettorale e avviando con bonomia, almeno apparente, la fase di transizione che negli Stati Uniti dura una sessantina di giorni. Durante i quali il presidente uscente continua a comandare e quello entrante prenota, anticipa e quant’altro il suo lavoro.
Ebbene, come lo stesso Mattarella ha tenuto a precisare nel suo intervento come per rafforzarne la portata, Musk non è più soltanto un amico, sostenitore, finanziatore, ripeto, di Trump ma anche un uomo destinato a fare parte della nuova amministrazione americana. Dovrà occuparsi, pur tra i “mugugni” dell’entourage dello stesso Trump riferiti da Massimo Gaggi sul Corriere della Sera, della lotta agli sprechi nel governo degli Stati Uniti, ma non credo che egli sia andato troppo lontano dalle opinioni e dagli umori del presidente di prossimo insediamento o ritorno alla Casa Bianca parlando come ha parlato dell’Italia e dei suoi giudici. E ciò significa che c’è un problema, per quanta sordina si possa e si voglia applicargli sul piano politico e diplomatico.
Ci sono stati altri passaggi e momenti nella storia dei rapporti fra gli Stati Uniti d’America e l’Italia dopo la fine dell’insensata guerra dichiarata da Mussolini, in cui sono stati vissuti e gestiti problemi di una certa difficoltà non sempre attenuati abbastanza dalla diplomazia. Ricordo quelli, per esempio, sorti e a volte persino esplosi, perdurando ancora la cosiddetta guerra fredda, quando in Italia si sperimentò, praticò, sviluppò un rapporto non dico di alleanza ma di “solidarietà nazionale”, come venne ufficialmente definito, fra i tradizionali partiti di governo e l’altrettanto tradizionale partito di opposizione che era il Partito Comunista, con tutti i suoi rapporti con l’Unione Sovietica. Che procedevano fra “strappi” sapientemente gestiti dal segretario Enrico Berlinguer, sopravvissuto persino ad un attentato in Bulgaria, ma comunque procedevano. E finirono per prevalere nel 1979, quando il Pci si tirò fuori dalla maggioranza di governo per contestare il riarmo missilistico della Nato resosi necessario per il vantaggio militare acquisito dal blocco orientale dell’allora Patto di Varsavia con l’installazione degli SS 20 puntati contro le capitali dell’Europa occidentale.

Certamente le cose sono cambiate. Le analogie sono relative. Ma la politica resta la politica. E ci sono problemi che possono ripresentarsi in altro modo, fra i quali forse anche quello di un Paese dove si erigono muri lungo i confini per proteggersi dall’immigrazione clandestina e si fatica, quanto meno, a capire che in Italia il governo non può muoversi, né assumere impegni, su certi terreni dovendosi in qualche modo guardare anche dai giudici che la pensano diversamente interpretando altrettanto diversamente leggi e quant’altro.
Pubblicato sul Dubbio
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