Giuseppe Conte in versione Ovidio nei rapporti con Elly Schlein

Dal Dubbio

Neppure Publio Ovidio Nasone, il semplicemente e miticamente Ovidio, se potesse tornare fra noi dopo più di duemila anni dalla morte potrebbe forse comprendere e consolare Giuseppe Conte nei “tormenti” giustamente attribuitigli dal nostro Paolo Delgadoscrivendo sul Dubbio dei suoi rapporti tutti politici, per carità, con la segretaria del Pd Elly Schlein, prima ancora ma ancora di più dopo la debacle del MoVimento 5 Stelle nelle elezioni in Liguria.  Che sono costate la sconfitta ad Andrea Orlando nella corsa alla presidenza della regione, pur col vento soffiatogli nelle vele dalla magistratura arrestando per corruzione l’ex governatore Giovanni Toti e liberandolo solo dopo le dimissioni e il conseguente voto anticipato, che ha invece confermato il centrodestra affidatosi nel frattempo alla guida del sindaco di Genova Marco Bucci. Ma ancor più della sconfitta di Orlando, in negativo per la sinistra e la sua ambizione all’alternativa al governo di Giorgia Meloni a livello nazionale, vale -ripeto- la debacle del movimento pentastellato. Che si è materializzato nella evaporazione, estinzione, compostazione annunciate dallo stesso fondatore e tuttora garante Beppe Grillo, per usare le sue stesse parole.  Peraltro propedeutiche al suo rifiuto di andare alle urne, come già nelle elezioni europee di giugno.

         Se tuttavia in teoria, nella logica delle speranze o degli auspici espressi anche dal nostro direttore Davide Varì, il Pd della Schlein può continuare ad ambire all’alternativa senza Conte, il partito di quest’ultimo, comunque si chiamerà dopo il processo rifondativo in corso fra gli anatemi di Grillo, non ha realistiche possibilità di sopravvivenza senza un collegamento col pur odiato Nazareno. “Ego nec sine te nec tecum vivere possum”, scriveva Ovidio.  

         Per un istante, al massimo per qualche ora persino chi pensa di conoscere meglio, come Marco Travaglio, il mondo politico riconducibile in Italia a Conte, ritenuto l’ex presidente del Consiglio migliore dopo Cavour, ha pensato alle 5 Stelle rigenerabili   in tre anni, o quanti ne mancano alle prossime elezioni politiche, di costante, irriducibile, persino solitaria opposizione: in sciopero generale ben oltre quello annunciato dalla Cgil e dalla Uil per il 29 novembre.

         Ma un editoriale in questo senso, o così avvertito da molti degli stessi lettori che debbono avergli scritto mostrando qualche dissenso o preoccupazione, come si è capito dall’incipit dell’editoriale successivo, è svanito in un solo giorno di edicola.  Esso è stato corretto col riconoscimento che col Pd a Conte, “l’uomo politico – ha scritto il direttore del Fatto Quotidiano- più sottovalutato del secolo”, non convenga rompere del tutto. Siamo insomma al “nec sine te” di Ovidio. Il problema si ridurrebbe solo ad una più oculata scelta delle cose, ma soprattutto delle persone su cui accordarsi col partito della Schlein in sede locale, ogni volta che si va a votare per rinnovare qualche amministrazione, o in sede nazionale quando verrà il momento.

Andrea Orlando

         In Liguria, secondo Travaglio, l’errore di Conte non è stato quello di reclamare e ottenere l’esclusione dell’odiato Matteo Renzi, e dei suoi uomini e donne, dal “campo” dell’alternativa al centrodestra, ma di avere accettato come candidato alla presidenza della regione un esponente troppo d’apparato del Pd come il più volte ex ministro Andrea Orlando: ex, peraltro, anche del primo e unico governo di Renzi, al vertice addirittura del dicastero della Giustizia.

La vignetta del Corriere della Sera di oggi

         Alle condizioni poste, consigliate e quant’altro da Travaglio è difficile tuttavia, diciamo pure impossibile, pensare che il Pd possa reggere, neppure se dovesse assumerne la guida – per una rinuncia o un rovesciamento improvviso della Schlein- il comprensivo, pazientissimo, disponibilissimo Goffredo Bettini. Che a suo tempo non sottovalutò ma sopravvalutò Conte promuovendolo al “punto più alto di riferimento dei progressisti” in Italia, peraltro non necessariamente di sinistra all’anagrafe politica di Travaglio.

Aldo Moro ed Enrico Berlinguer

         Nemmeno il Pci di Enrico Berlinguer, coi voti e col prestigio che aveva, riuscì negli anni della cosiddetta “solidarietà nazionale” a imporre alla Dc di Aldo Moro la selezione della classe dirigente scudocrociata, reclamando per esempio le teste dei ministri Antonio Bisaglia e di Carlo Donat-Cattin senza ottenerle.

Pubblicato sul Dubbio

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