La pentola Sangiuliano creata dal diavolo senza coperchio e manici

Dal Dubbio

Si sa che il diavolo fa le pentole senza i coperchi, con tutti gli inconvenienti che ne derivano.  Questa volta, con la pentola di Giorgia Meloni alle prese con l’affare sempre meno culturale del pur ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano e della sua ex o mancata consigliera Maria Rosaria Boccia, il diavolo ha dimenticato anche i manici. Per cui la premier ha difficoltà pure a sollevarla dal fuoco delle opposizioni sempre più tentate dal ricorso alla mozione parlamentare di sfiducia. Che potrebbe anche essere respinta per la disciplina che vorrà o potrà imporre la premier alla maggioranza, ma non credo senza altri danni all’immagine del governo.

         Con questa storia della pentola senza i manici, il diavolo ma un po’ anche il ministro Sangiuliano hanno rovinato la festa alla Meloni appena raggiunta felicemente da notizie provenienti addirittura da Berlino, dove si pensava che ci fossero le maggiori difficoltà, sull’avvicinamento di Raffaele Fitto, appena designato dall’Italia per l’organismo esecutivo dell’Unione Europea, alla carica anche di vice presidente della Commissione di Bruxelles. Una carica mancata all’Italia nella commissione uscente pur essendo il rappresentante italiano, Paolo Gentiloni, un ex presidente del Consiglio.

Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni

         Il passo avanti di Fitto verso la vice presidenza o una delle vice presidenze della Commissione è stato possibile grazie ai rapporti personali che la Meloni ha evidentemente conservato con la presidente Ursula von der Leyen, pur avendole fatto mancare i voti dei suoi europarlamentari per la conferma, e all’indebolimento politico dei poco o per niente convinti Emanuel Macron e Olaf Scholz. Il primo è ancora alle prese in Francia, due mesi dopo il secondo e conclusivo turno di elezioni anticipate da lui stesso volute, col problema della formazione di un nuovo governo, almeno nel momento in cui scrivo. Il secondo è stato umiliato sia dalle elezioni europee di giugno sia dalle elezioni regionali appena svoltesi in Turingia e Sassonia. Dove la destra estrema -non quella conservatrice della Meloni in Italia- ha lasciato in braghe di tela il cancelliere tedesco, forse non più in grado neppure di arrivare l’anno prossimo alla fine ordinaria della legislatura. Sarebbe sempre più pronto a sostituirlo il più popolare, o meno impopolare a sinistra Boris Pistorius, ministro attuale della Difesa.

         Fra gli inconvenienti della pentola senza manici del caso Sangiuliano-Boccia c’è il tentativo, quanto meno, delle opposizioni di estenderne i confini, diciamo così, attribuendo al ministro la responsabilità di avere messo al corrente della sua ex o mancata consigliera affari di sicurezza internazionale nella preparazione del G7 della Cultura, o di alcune delle sue manifestazioni. Un inconveniente, dicevo, che la Meloni, per quanto rassicurata dal suo ministro in un lungo incontro a Palazzo Chigi, dal quale Sangiuliano è uscito ancora e regolarmente in carica, spera comprensibilmente non destinato a creare difficoltà all’aspirazione dell’Italia alla o -ripeto- a una delle vice presidenze della Commissione di Bruxelles. Sarebbe un vero peccato: la ciliegina intossicata su una torta già con seri problemi di commestibilità.

Raffaele Fitto

         Per tornare nei confini di una questione nazionale, un altro inconveniente della pentola senza manici del caso Sangiuliano-Boccia è la difficoltà che la Meloni avrebbe di sostituire il ministro della Cultura evidentemente costretto alle dimissioni dagli sviluppi della sua ultima vicenda o gaffe. Oltre a Fitto ormai in trasferimento a Bruxelles e alla pericolante Daniela Santanchè al Turismo per le sue vicende giudiziarie.

Quello che una volta si chiamava “rimpasto”, cui i governi di turno ricorrevano per sostituire uno o più ministri, è notoriamente avvertito dalla premier, secondo cronache e retroscena unanimi, come un passaggio di forte rischio per la sua maggioranza. Dove non mancano tensioni che l’ultimo vertice, quello della ripresa dopo le vacanze d’agosto, non ha certamente dissipato, per quanti sforzi compia comprensibilmente la premier di negarli o minimizzarli.  La stabilità di un governo, nella cosiddetta e lontana prima Repubblica ma anche nelle edizioni successive, si giudica pure dalla sua capacità di tenuta in caso di cambiamenti imposti dalle circostanze.

Pubblicato sul Dubbio

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