
Abituata alle crisi ministeriali in estate e alle sue soluzioni spesso solo provvisorie, grazie ad espedienti trovati all’ultimo momento per affrontare i problemi con maggiore calma e con altri governi di più ampio respiro, come si diceva nei partiti, la politica italiana si inventò già negli anni Cinquanta -ahimè, del secolo scorso- la figura del generale Agosto. Che soccorreva il presidente della Repubblica nella soluzione della crisi di turno. Un generale che parlava rigorosamente e solamente italiano.
Bettino Craxi, che proprio d’agosto, il 4 del 1983, formò il suo primo governo, ma due anni prima aveva partecipato al salvataggio di Giovanni Spadolini fra il 7 e il 23 agosto col famoso “bis” o “fotocopia”, cambiò il nome del generale da Agosto a Ferragosto. E così anche noi cronisti politici ci abituammo a chiamarlo, attribuendogli spesso con la nostra fantasia imprese magari superiori o persino diverse a quelle da lui effettivamente compiute, sia pure sul piano già di per sé immaginifico o metaforico.
L’estate politicamente italiana più torrida rimane quella del 1964, sessant’anni fa, appena tornata di attualità sui giornali con gli articoli rievocativi di Lino Jannuzzi, scomparso nella settimana scorsa.

Lino nel 1967 ricostruì la crisi di tre anni prima scrivendo sull’Espresso – e procurando anche al direttore Eugenio Scalfari una condanna vanificata solo dalla loro elezione a deputati nelle liste del Psi voluta cautelativamente da Pietro Nenni- di un “colpo di Stato” ordito più o meno consapevolmente fra il presidente della Repubblica Antonio Segni e il comandante dell’Arma dei Carabinieri, il generale Giovanni De Lorenzo, destinato a diventare pure lui parlamentare, ma nelle liste della destra missina.
In verità, nell’estate del 1964 la crisi con la quale Segni era stato alle prese ricevendo le dimissioni di Aldo Moro il 26 giugno, e mettendo nel conto il ricorso ad un altro presidente del Consiglio di tutt’altro segno politico, anche a costo di affrontare disordini di piazza, in agosto era stata già bella che risolta, avendo potuto Moro formare il suo secondo governo, con gli stessi partiti di centrosinistra, il 22 luglio. Ma in agosto, appunto, vi fu di quella crisi uno strascico drammatico sul piano umano e politico.
Il 7 agosto furono ricevuti da Segni al Quirinale Moro e il ministro degli Esteri Giuseppe Saragat. Che andarono a sottoporgli una lista di ambasciatori predisposta per un’apposita riunione di governo, secondo una prassi imposta da Giovanni Gronchi. Che non si riteneva per niente obbligato a controfirmare quelle ed altre nomine, per esempio dei prefetti, senza averle prima conosciute e condivise.

In quella lista del 7 agosto 1964 non c’era un diplomatico di cui al Quirinale si attendeva la promozione e una destinazione molto importante. Segni se ne dolse. E mentre Moro cercava di rabbonirlo, o assicurargli che non sarebbero mancate occasioni per soddisfarne le attese, Saragat sbottò con una sfuriata. Nella quale rimproverò a Segni di avere gestito la pur ormai chiusa crisi di governo in un modo che avrebbe potuto costargli anche un processo per alto tradimento davanti alla Corte Costituzionale.

Segni, che già soffriva di pressione alta, balbettò una protesta prima di perdere i sensi e cadere a terra. Non si sarebbe più ripreso. Ne fu accertato dopo qualche mese l’impedimento e a fine anno fu eletto dal Parlamento al suo posto proprio Saragat, con una regia dietro le quinte di un Moro che anche per questo cadde nel suo partito, la Dc, in una fase di logoramento o sofferenza, a dir poco. Da cui -tragedia nella tragedia- sarebbe uscito dopo qualche anno solo per poco, sequestrato e ucciso dalle brigate rosse nel 1978 tra misteri non tutti ancora risolti, per quanti processi si siano svolti e inchieste parlamentari siano state condotte.

Di fronte alle crisi politiche italiane contrassegnate dalla figura del generale Ferragosto di ricordo o denominazione craxiana, per quanto non se ne siano mancate poi altre abbastanza accidentate, come quella del governo di Mario Draghi, dimessosi il 21 luglio di due anni fa, può essere di una certa consolazione il fatto che quel generale abbia smesso di parlare solo italiano. Se ne avverte il bisogno a più alto livello, geografico e linguistico, con tutte le guerre in corso e le paure che ne scaturiscono.
In Italia per sedare i pasticci e i guai che certamente non mancano alla politica, pur stabilizzata da un governo che si considera nelle affermazioni quotidiane della premier Giorgia Meloni il più solido fra quelli europei, basta molto meno di un generale.
Pubblicato sul Dubbio
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