
Con Lilli Gruber, ora in ferie non so se al mare in attesa di andare in montagna, dalle sue parti altoatesine, o viceversa, erano “otto e mezzo” di nome – un orario difeso dalla conduttrice come una guerriera, anche a costo di dare del maleducato ad Enrico Mentana che sforava col suo telegiornale- e di audience. A volte anche di più di otto e mezzo, secondo l’argomento e l’ospite, in genere da strapazzare anche quando è solo contro tutti.

Con Marianna Aprile e Luca Telese, in ordine rigorosamente alfabetico, oltre per ragioni di galanteria pur non più tanto di moda in questi tempi bizzarri, si va invece all’incirca alla stessa ora “in onda” di nome e di fatto. L’audience rispetto alla “mezz’ora” delle altre stagioni è invece inferiore, ma sempre di tutto rispetto: circa il sette per cento. Ma il 6 agosto scorso si è quasi dimezzato scendendo ad un 4 rivelato dal Fatto Quotidiano: sospetto con qualche soddisfazione perché di collegamenti col giornale di Travaglio la coppia Aprile-Telese in genere non ne fa, diversamente dalla Gruber.
La differenza il 6 agosto non l’ha fatta però il mancato collegamento col giornale di Travaglio ma la presenza nello studio televisivo di un Matteo Renzi particolarmente debordante. E anche carino con la vice direttrice della Stampa Annalisa Cuzzocrea, seduta accanto a lui, che gli aveva tirato la volata nell’inseguimento della segretaria del Pd Elly Schlein raccogliendone, in una intervista, la promessa di liberare il cosiddetto campo largo dell’alternativa al centrodestra dai veti risalenti ai tempi di Enrico Letta. Veti a cominciare naturalmente da quello contro Renzi, spesosi poi in una partita del cuore, di nome e di fatto, con un passaggio di palla proprio alla Schlein perché segnasse un gol, per quanto fuori gioco e perciò annullato.

Per quanta vivacità verbale e mimica ci abbia messo, per quanti calcoli alla mano abbia fatto per dimostrare che di solito si vince più facilmente insieme che separati, a meno che l’insieme non sia troppo confuso e quindi elettoralmente indigesto, Renzi non è riuscito a tenere su l’audience. E si è beccato dal Fatto Quotidiano -chissà se nell’intimo anche dai conduttori della trasmissione- l’accusa di “non essere più una calamita né per gli elettori né per gli spettatori”.

Ancora più feroce con lui è riuscito però ad essere sulla Verità Maurizio Belpietro, che forse non gli ha ancora perdonato di averlo fatto litigare anzi rompere con l’editore di Libero ai tempi del referendum sulla riforma costituzionale, destinato peraltro a costare Palazzo Chigi a chi pure due anni prima, sempre da Palazzo Chigi, aveva portato il Pd nelle elezioni europee a più di un 40 per cento di voti irripetibile, quasi democristiano. “Misteri della fede- Renzi, più interviste che voti: piace solo ai giornalisti”, ha titolato personalmente Belpietro sulla sua Verità, ripeto.
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