
Era già noto il fatto che in politica l’aritmetica fa cilecca, per cui non è detto che due più due equivalgano a quattro.
Rimase celebre nella storia della sempre più lontana e rimpianta prima Repubblica il flop dell’unificazione socialista realizzata nel 1966, auspice Aldo Moro a Palazzo Chigi, che pensava di rafforzare così il suo centro-sinistra ancora col trattino. Tornarono insieme il Psi del vice presidente del Consiglio Pietro Nenni e il Psdi di Giuseppe Saragat, trasferitosi due anni prima al Quirinale subentrando all’impedito Antonio Segni. I due elettorati tuttavia non si sommarono, e in fondo neppure i due partiti, che infatti tornarono a separarsi nel 1969 provocando, fra l’altro, la caduta del secondo governo di centrosinistra, senza più il trattino, formato da Mariano Rumor succedendo a Moro.
Anche alle coalizioni elettorali succede un po’ come alle unificazioni, nel senso che i votanti non si sommano come i dirigenti dei loro partiti vorrebbero. Lo ha appena verificato Antonio Noto in un sondaggio commissionatogli da Repubblica sul cosiddetto campo largo, esteso sino a Matteo Renzi dopo una partita “del cuore”, con abbraccio finale, in cui l’ex premier aveva passato la palla alla segretaria del Pd Elly Schlein facendole segnare un gol, ma fuori gioco, cioè inutil, contro una squadra di cantanti.
Dal sondaggio di Noto è uscito non solo confermato il carattere divisivo, sul piano degli elettori, di un’alleanza fra il Pd e le 5 Stelle, ma anche aggravato con l’eventuale allargamento a Renzi e, sia pure separatamente, a Carlo Calenda.
Se, per esempio, un’alleanza fra Pd e 5 Stelle non piace al 24 per cento degli elettori piddini e al 40 per cento degli elettori grillini o contiani, che già non sono più assimilabili come prima, aggiungendo Renzi alla combinazione l tensioni aumentano. La partecipazione dell’ex premier alla combinazione è contestata dal 71 per cento degli elettori piddini e dall’81 per cento degli elettori pentastellati ancora considerati ottimisticamente uniti. Calenda risulta meno indigesto, ma non di tanto: al 57 per cento degli elettori piddini e all’80 per cento degli elettori delle 5 Stelle.

Manca nella ricerca sondaggistica di Antonio Noto il riscontro – obiettivamente più difficile per l’estrema confusione esistente nell’area dell’ex terzo polo sperimentato nelle elezioni politiche di due anni fa- delle reazioni degli elettorati separati di Renzi e di Calenda se davvero confluissero nel cosiddetto campo largo. Ma penso che se si fosse avventurato anche in questo tipo di ricerca Noto avrebbe riscontrato effetti ancora più divisivi. Gli stessi Renzi e Calenda, d’altronde, per la propensione ad accordarsi con Pd e 5 Stelle si sono visti contestate le loro leadership, già ammaccate, dai parlamentari che sono riusciti insieme a portare in Parlamento nel 2022. Figuriamoci dai loro elettori.
I numeri insomma non sembrano francamente promettenti per questo campo largo di cui tanto si parla e si scrive da tempo, nonostante l’ottimismo che cerca di diffondere nei salotti televisivi l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani. Che vede crescere la pianta dell’”alternativa” -come la chiama- al governo e alla maggioranza in corso.
Dubito, francamente che le cose siano messe meglio sul piano preferito o raccomandato di recente da Goffredo Bettini: l’uomo che ha un po’ sussurrato all’orecchio di tutti i cavalli del Pd e scommette adesso sul campo largo come “sentimento”, riconoscendo pure lui che la “sommatoria” dei partiti e dei loro elettorati non è scontata. Sentimento, ripeto. E’ una bella parola, ceto, ma pur sempre una parola in un campo come la politica, dove prevale la convenienza, non sempre generale.
Pubblicato sul Dubbio
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