Le scommesse di Dario Franceschini sul….passato e sul futuro

Dal Dubbio

A leggere l’ex ministro Dario Franceschini sul Corriere della Sera, intervistato da Maria Teresa Meli, ci sarebbe una curiosa gara di autolesionismo fra lo stesso Pd e Giorgia Meloni. Il cui premierato, proposto al Parlamento con l’elezione diretta del presidente del Consiglio, sarebbe “devastante” per la maggioranza di centrodestra, è convinto il democristiano figurativamente più alto in grado rimasto al Nazareno.  “Un boomerang”, sottovalutato con incredibile leggerezza dagli alleati della destra, Matteo Salvini e Antonio Tajani, nell’ordine della loro attuale consistenza elettorale, e destinato ad esplodere alla fine della legislatura.

L’intervista di Franceschini al Corriere della Sera prima di intervenire al Senato

         Franceschini prevede che “la madre di tutte le riforme” voluta dalla Meloni arriverà al referendum di verifica nel 2026, un anno prima cioè del rinnovo ordinario delle Camere, quando di solito i governi in carica sono sfiniti, o quasi, e debbono solo aspettarsi di perdere le elezioni. Nessuno di quelli succedutisi negli ultimi trent’anni -ha calcolato Franceschini- è uscito indenne dalle urne. Non capisce, l’ex ministro, perché quello della Meloni, lo stesso di oggi o quello eventualmente rimpastato, debba o possa sottrarsi a questa regola di carattere ormai mondiale, e non solo italiano. Già, perché?

Franceschini e Conte d’archivio

         Perché forse -sospetta Franceschini- la premier pensa che le opposizioni continueranno ad essere divise, incapaci di farsi federare da qualcuno per contrapporsi al centrodestra. Invece, sempre secondo Franceschini, sarà proprio il bipolarismo connaturato nel premierato a fare il miracolo del Pd finalmente alleato col Movimento 5 Stelle, non importa se con Giuseppe Conte ancora leader e aspirante a tornare a Palazzo Chigi o un altro al suo posto, visto che i rapporti fra l’ex premier e il Nazareno sono appena peggiorati. Vi ha contribuito il commissario europeo, e piddino, Paolo Gentiloni contestando il merito attribuitosi per intero da Conte nell’aggiudicazione dei duecento e rotti miliardi della Ue a favore della ripresa italiana dopo il Covid.  

Franceschini e Renzi d’archivio

A parte queste ed altre polemiche, le cose per Franceschini saranno più forti delle persone. E mentre il tanto controverso campo largo si realizzerà la Meloni non potrà aspettarsi dal referendum sulla sua riforma un risultato diverso da quello ottenuto da Matteo Renzi nel 2016. E ciò pur senza commettere l’errore di Renzi di condizionare esplicitamente la sorte del governo a quella della riforma intestatasi.

Franceschini e D’Alema d’archivio

         Se le cose tuttavia stessero davvero come Franceschini le immagina, prevede e sciorina con la certezza quasi di un matematico, uguale a quella che  mette ogni volta che nel Pd si riacutizza la gara alla segreteria e lui scommette sul candidato, o la candidata destinata a vincere, come accadde l’anno scorso con Elly Schlein; se le cose, ripeto, stessero davvero come Franceschini le immagina, prevede e sciorina, non si si capisce per quale ragione al Nazareno siano tanto agitati, tanto mobilitati, tanto ossessionati dal premierato. Che pure la sinistra all’epoca della commissione bicamerale presieduta da Massimo D’Alema, nel 1997, prospettò  in una versione dichiaratamente, orgogliosamente “forte”: parola dell’allora relatore Cesare Salvi.

Franceschini ed Enrico Letta d’archivio

         Al Pd, senza strapparsi vestiti, capelli e persino barba, nel caso di Franceschini, potrebbe bastare e avanzare una riposante attesa, assecondando il presunto suicidio della Meloni. Invece la Schlein ha già prenotato per il prossimo 2 giugno la piazza romana del Testaccio. Dove partì peraltro la sfortunata corsa di Enrico Letta alla segreteria del Pd dopo le improvvise dimissioni di Nicola Zingaretti, sfiancato dalla suicida promozione di Giuseppe Conte, in tandem con Goffredo Bettini, al “più alto punto di riferimento dei progressisti in Italia”.

Giorgia Meloni

Fu una corsa sfortunata al Nazareno, quella di Letta junior rispetto all’anziano zio berlusconiano Gianni, perché sfociata nel 2022 nelle elezioni anticipate vinte dal centrodestra a trazione già chiaramente meloniana. Una vittoria reversibile quasi per algoritmo, secondo il forse troppo ottimista, fiducioso Franceschini. Che, autore anche di romanzi, oltre che politico, potrebbe questa volta sbagliare la trama. Chissà. C’è sempre una prima volta nella vita propria, o degli altri, a sorprendere tutto e tutti.

Pubblicato sul Dubbio

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