Vittoria e sconfitte dimezzate in Basilicata dall’astensionismo

         Non per guastare la festa a nessuno- né al governatore di centrodestra Vito Bardi confermato, né al Pd di Elly Schlein che nel campo dell’opposizione ha doppiato il concorrente movimento di Giuseppe Conte, sceso ad una cifra, il 7 e mezzo per cento, dalle due che vantava orgogliosamente- ma i risultati elettorali regionali della Basilicata segnano desolatamente il dimezzamento sia della vittoria sia della sconfitta. O le sconfitte, al plurale, se vogliano considerare anche il terzo e misero ingombro di un candidato già debole, diciamo così, nello sfortunato cognome di Follia, e di nome Eustachio.

Il titolo di Avvenire

         La maggioranza in quella regione, non a caso confinante con un’altra -la Puglia- messa alquanto male sul piano politico e mediatico, è stata conquistata in realtà dall’astensionismo, salito dal 46,5 per cento delle precedenti elezioni dello stesso livello, nel 2019, al 50,20 per cento di questa volta. E’ andato cioè a votare meno della metà dell’elettorato. Che ha pertanto risposto con un misto di indifferenza e di disprezzo agli appelli di un po’ tutti i partiti, e le famiglie, anche nel vero senso della parola, scesi in campo più per scannarsi fra di loro che per offrire soluzioni ai problemi della popolazione. E’ desolatamente vero -ripeto-  il titolo di apertura scelto da Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, per annunciare il risultato delle votazioni: “L’astensione vince”, appunto.

Il titolo del Corriere della Sera

         A rimetterci di più sembra, almeno dai risultati sinora disponibili, il partito dell’ex premier Conte, pur così sicuro di sé nelle sue escursioni, o incursioni, secondo i casi, nel campo che lui vorrebbe “giusto” ma finisce sempre, o quasi, per rivelarsi insufficiente al successo. La recete rondine sarda, peraltro volata con le ali bagnate di una minoranza e non maggioranza di voti e già caduta in Abruzzo, non ha fatto primavera. Ora forse il presidente delle 5 Stelle conta di rifarsi alle elezioni europee di giugno sventolando il nome della pace, stampato nel simbolo come una bandiera, e scommettendo sull’infortunio appena occorso a livello nazionale alla Schlein con quel goffo tentativo di intestarsi come in una targa un partito dove i segretari si succedono con la frequenza dei birilli che cadono al bowling.

La vignetta della Gazzetta del Mezzogiorno

         Nel campo pur vincente del centrodestra, allargato in Basilicata non si sa ancora se in modo determinante sia a Carlo Calenda che a Matteo Renzi, il partito di Giorgia Meloni ha dovuto accontentarsi di un primato al 16,4 per cento dei voti, dieci meno della media nazionale. E la Lega di Matteo Salvini è stata superata di quasi cinque punti da Foza Italia, di cui aveva neppure tanto nascosto il proposito, prima della presentazione delle liste, di contrastare l’ambizione alla conferma del “suo” governatore uscente. Che invece si è guadagnata la vignetta della Gazzetta del Mezzogiorno sull’uscita e sul rientro, come in un albergo con la porta girevole, dell’ex generale della Guardia di Finanza Vito Bardi. Attenti, e riposo.

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