
Di Mario Draghi esistono -o gli sono attribuite- due agende. Una è quella nata col suo governo e fatta di programmi, di progetti, di riforme: un’agenda contesa nell’ultima campagna elettorale per il rinnovo del le Camere da varie forze politiche. Che andavano dal Pd ancora di Enrico Letta, entrato per questo in rotta di collisione col Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte, al cosiddetto terzo polo improvvisato da Matteo Renzi e Carlo Calenda e persino dall’opposizione di destra di Giorgia Meloni. Alla quale parve a molti, e non a torto, che Draghi passasse le consegne a Palazzo Chigi dopo le elezioni con un certo sollievo, sapendo di lasciare in buone mani la parte di quell’agenda riguardante la non certo irrilevante politica estera, come il sostegno politico e militare all’Ucraina aggredita e invasa dalla Russia di Putin.

Chissà se, proprio pensando alla continuità di quel sostegno, in cui lui si era prodigato moltissimo, e non solo viaggiando insieme con il presidente francese e il cancelliere tedesco sul treno diretto a Kiev, Draghi non fu quanto meno tentato nelle elezioni politiche anticipate del 2022 di votare anche lui per il centrodestra, e più in particolare per il partito della Meloni, dopo avere votato in vita sua -credo- il Pd e prima ancora il Psi di Bettino Craxi o la Dc di Amintore Fanfani e Aldo Moro, o il Pri di Ugo La Malfa e poi di Giovanni Spadolini. Chissà, ripeto.

L’altra agenda di Draghi è quella telefonica, con i numeri o recapiti elettronici degli interlocutori conosciuti e frequentati a livello nazionale, ma ancor più internazionale, prima ancora di essere chiamato a Palazzo Chigi. E di esservisi insediato -permettetemi di aggiungere con un po’ di malizia- senza reclamare o comunque ottenere un salvacondotto o paracadute come il laticlavio concesso da Giorgio Napolitano nel 2011 a Mario Monti, anche lui prelevato al Quirinale da una riserva insieme tecnica ed europea.
E’ difficile dire quale delle due agende sia più temuta dai critici e avversari della corsa a Bruxelles attribuita, a torto o a ragione, a Draghi dopo la “svolta radicale” dell’Unione Europea da lui proposta anticipando il rapporto sulla competitività della stessa Unione chiestogli nello scorso autunno dalla presidente uscente della Commissione comunitaria, Ursula von der Leyen.

La prima agenda è stata praticamente liquidata come “roba vecchia” in un commento di Fabrizio Barca sul Fatto Quotidiano. Il cui direttore Marco Travaglio non ha ancora perdonato all’ex premier il “Conticidio” rimproveratogli all’arrivo a Palazzo Chigi, dove il presidente attuale delle 5 Stelle sarebbe stato, nella storia dei capi di governo dell’Italia, secondo solo, addirittura, a Camillo Benso conte, al minuscolo, di Cavour.

L’altra agenda di Draghi, quella dei suoi rapporti soprattutto internazionali, ha invece impensierito altri che temono, in particolare, che l’ex presidente del Consiglio arrivi a Bruxelles baipassando i partiti e i loro elettorati, magari anche a dispetto dei risultati del rinnovo del Parlamento europeo nelle votazioni del 9 giugno. Un Parlamento, comunque, dal quale né Draghi né altri al suo posto potranno invece prescindere, a dispetto di questi timori. Manca anche a livello europeo, e non solo italiano, almeno per ora, in attesa che la Meloni riesca a far passare la sua riforma, l’elezione diretta del presidente della Commissione o del Consiglio comunitario.
Non mi fascerei insomma la testa, da elettore e difensore della democrazia rappresentativa, prima che altri me la rompessero con intese politiche non trasparenti, concordate al telefono o per posta elettronica nei pre-vertici europei, successivi o addirittura precedenti alle elezioni di giugno.
Mi limiterei a riconoscere a Draghi, come ha fatto il presidente del Senato Ignazio La Russa, le competenze e le qualità maturate nella sua lunga attività pubblica, non solo privata, tutte adatte alla scalata a Bruxelles che gli viene -ripeto- attribuita a torto o a ragione. E che certamente, se per avventura riuscisse, non umilierebbe l’Italia o, come preferisce dire la Meloni, la Nazione italiana.
Pubblicato sul Dubbio
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