Quello 0,2 per cento soltanto che rimane a Salvini sopra Tajannleyrand

         Se quei due punti scarsi che separano nell’ultimo sondaggio di Euromedia il 19,7 pe cento di Elly Shlein dal 17,6 di Giuseppe Conte aiutano a capire la difficoltà da concorrenza, diciamo così, dei loro rapporti nello schieramento contrario al governo, ancora di più può aiutare a capire i problemi sul versante del centrodestra quel misero 0,2 per cento che separa l’8,7 di Matteo Salvini dall’8,5 di Antonio Tajani, succeduto a Silvio Berlusconi alla guida di Forza Italia..

Dalla prima pagina del Riformista

         Le retrovie di Giorgia Meloni, quanto a turbolenza, sempre da concorrenza, non sono messe meglio delle prime file, o del gruppo di testa, di quel campo che non si sa più neppure come chiamare, oltre che misurare, ma fa sognare gli avversari della prima donna, e di destra, alla guida di un governo italiano in una lunga storia fatta di monarchia e di repubblica. Tutte al minuscolo per non fare torto a Tajani, che è arrivato alla vice presidenza del Consiglio, ed è immaginato da qualche amico persino come un concorrente nella prossima corsa al Quirinale, o prima ancora a Bruxelles al posto di Ursula von der Leyen, ma da giovane frequentava i pur pochi circoli monarchici dove si rimpiangeva il Re Umberto II.

         Matteo Salvini ha bisogno di tenersi ma ancor più di aumentare quel misero -ripeto- vantaggio dello 0,2 per cento sulla Forza Italia post-berlusconiana anche per fronteggiare una situazione interna di partito molto calda per la discesa elettorale in corso dal 2019. Quando egli ebbe la sfortuna -a pensarci bene- di salire come vice presidente del Consiglio di Giuseppe Conte ad un 34 per cento oggettivamente smodato e mai più replicabile, anche se in politica non si dovrebbe mai dire mai.

Dal Foglio del 12 aprile

         Antonio Tajani, dal canto suo, avrebbe bisogno di un sorpasso, e neppure tanto stentato, per non limitarsi a galleggiare, nonostante la sua importante parentela col Partito Popolare Europeo, nella coalizione di governo capeggiata dalla Meloni con i suoi fratelli d’Italia. A tenerne alto prestigio e forza contrattuale non può certo bastare il soprannome, generosamente attribuitogli qualche giorno dagli amici del Foglio, di Tajanlleyrand, evocativo di quel geniale, camaleontico cardinale francese, ma anche principe di Benevento, che a cavallo fra il Settecento e l’Ottocento di due secoli fa riuscì a barcamenarsi abbastanza bene fra Luigi XVI, Napoleone Bonaparte e Luigi XVIII, tra vecchio regime, rivoluzione e restaurazione.

Dal Foglio di ieri

          Salvini invece, per quanto indaffarato fra molti cantieri, e sapientememte tollerante col malumore di Umberto Bossi da cui ricevette a suo tempo, sia pure non direttamente, una eredità alquanto malmessa, si è visto assegnato -sempre dal Foglio- il soprannome di uomo da bar.  “Un grande comunicatore -ha scritto ieri di lui Antonio Pascale replicando Umberto Smaila- che ha successo perché dice le stesse cose che sente al bar”.  Dove notoriamente se ne dicono e se ne pensano di tutti i colori. E tutti si promuovono a commissario tecnico della squadra nazionale di calcio.

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