Le guerre di Antonio Tajani fuori e dentro la sua Forza Italia

Per sfortuna di Matteo Renzi, che pensava di potere ingoiare Forza Italia liquidandone il segretario come un successore non all’altezza dello scomparso Silvio Berlusconi, sino a rifiutarsi negli articoli e nelle dichiarazioni di farne il nome per la sua presunta irrilevanza politica, Antonio Tajani sta consolidando la propria esposizione mediatica, oltre che esperienza politica, con le guerre -quelle vere, dall’Ucraina a Israele- di cui deve occuparsi come vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri: altro che le infrastrutture, o trasporti, del leghista Matteo Salvini, l’altro vice di Giorgia Meloni.

         Ora a Renzi, e al “Centro” che l’ex presidente del Consiglio ha riesumato per allocarvi il suo movimento appena sottoposto a congresso, non resta che sperare, scommettere e quant’altro su altre guerre che potrebbero danneggiare Tajani: quelle interne di un partito peraltro messo da lui stesso sui binari di un congresso convocato per la fine di febbraio. E di cui ogni tanto qualcuno -per esempio, il vice presidente della Camera Giorgio Mulè- sollecita il completamento delle regole per garantire la effettiva contendibilità della segreteria da parte di una, dieci, cento candidature.

         Come tutte le guerricciole interne di partito, e come già accadeva ai tempi della Dc e, più in generale, della cosiddetta prima Repubblica, anche quella di Forza Italia si presta a incursioni esterne, di altri partiti e di giornali che mescolano notizie e fantasie, retroscena e manovre, magari enfatizzando -e ricamandoci sopra- qualche infortunio o imprudenza. Come quella secondo me compiuta dall’ex sindaca di Milano, ex assessore regionale in Lombardia, ex ministra, ex presidente della Rai e non ricordo più di cos’altro, Letizia Moratti uscita e rientrata nel partito che fu di Berlusconi raccontando: “Ho parlato con Marina prima dell’ingresso in FI, mi ha chiamato lei”.

Marina è naturalmente la figlia primogenita del defunto presidente del partito forzista. Che non so se con quella telefonata abbia più preceduto davvero o accompagnato la chiamata altrove annunciata di Tajani, con tanto di offerta di incarico interno creato apposta per la Moratti, dopo che in una intervista aveva chiuso la breve esperienza vissuta di una moderata aspirante nelle ultime elezioni regionali alla presidenza della Lombardia col sostegno anche del Pd.

         “L’operazione Moratti -ha scritto sul Fatto Quotidiano Gianluca Roselli con l’aria di saperne abbastanza- si muove su due binari”, anch’essi come quelli del congresso. “Il primo -ha spiegato il collaboratore di Marco Travaglio- è ridare fiato a FI che, con la leadership di Tajani va stancamente. Per le Europee, deve aver pensato anche Marina, serve una figura forte per una campagna che si annuncia agguerritissima. E Moratti sembra perfetta. Lei continua a ribadire che non si candiderà, ma chi la conosce è pronto a giurare il contrario”.

         Passiamo al “secondo binario”. “L’operazione Moratti -ha scritto, riferito, intuito, fantasticato, come preferite, il cronista del Fatto- potrebbe nascondere la volontà di cessione della ditta: i Berlusconi non richiederebbero più indietro i famosi 100 milioni di debito, a patto che tutte le nuove spese se le accolli la Moratti, che a quel punto diventerebbe la nuova proprietaria del partito. Difficile che l’ex presidente della Rai accetti, ma la voce circola”. E quelli del Fatto l’hanno raccolta intingendo il biscotto nel veleno di una citazione di Licia Ronzulli, attuale capogruppo forzista al Senato, che diede a suo tempo alla Moratti -quando ruppe col presidente della Lombardia, il leghista Attilio Fontana, cercando di succedergli- della “signora annoiata e in cerca di una poltrona” più importante di quella di assessore ottenuta in regione.

         In attesa di capire davvero se la cosiddetta “operazione Moratti” sia avvenuta e continui con un “Tajani scavalcato”, come ha titolato Il Fatto nel richiamo di prima pagina, e senza la pretesa di distoglierlo più di tanto dalle vere guerre di cui deve occuparsi dalla sua postazione di governo, penso che il segretario di Forza Italia debba anche guardarsi da qualche socio di maggioranza che lavora con la vecchia astuzia democristiana per spostare non solo pedine ma soprattutto voti dal suo partito ai fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, con i quali non a caso egli è appena tornato in Parlamento. Mi riferisco a Gianfanco Rotondi, già ministro di Berlusconi quando si faceva eleggere nelle sue liste.

Rotondi da presidente di una fondazione intestata al compianto Fiorentino Sullo, della sinistra poi capeggiata  nello scudo crociato da Ciriaco De Mita, ha organizzato per il 27 e il 28 ottobre un convegno a Saint Vincent -dove il compianto Carlo Donat-Cattin riuniva ogni anno gli amici di corrente- per associare le memorie di Silvio Berlusconi e di Arnaldo Forlani, morti entrambi nella scorsa estate. Un’associazione di amici, che si stimavano, utile anche a sognare nel centrodestra un partito delle stesse dimensioni della Dc. Ma esso a questo punto, con l’aria che tira nei sondaggi, e col ricordo troppo lontano della Forza Italia al 30 per cento delle elezioni europee del 1994, non potrebbe che essere il partito della premier in carica, ormai attestato proprio attorno a quella consistenza.

Pubblicato sul Dubbio

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