

Più di un casco di sicurezza da cantiere, magari in uno dei tanti ancora aperti per il rifacimento delle facciate dei palazzi, di cui egli va particolarmente fiero a dispetto di tutti i buchi che lo accusano di avere procurato alle finanze pubbliche, non riuscirete mai a far mettere sulla testa a Giuseppe Conte. L’ex premier, e ora presidente solo di quel che rimane del Movimento 5 Stelle, non vuole neppure sentir parlare di elmetti. Vi sembra anche fisicamente allergico come Gino Paoli che cantava: “Quando si va in guerra c’è l’elmetto che si mette proprio sulla testa. Ci vuole una testa fatta apposta, fatta un po’ diversa dalla mia”. Si chiamava “all’est niente di nuovo” quella canzone che dev’essere molto piaciuta all’ex presidente del Consiglio.


Qualche giorno fa, preso fra la vecchia guerra ormai in Ucraina, scoppiata quando lui per fortuna non era più a Palazzo Chigi ma era rimasto nella maggioranza mandando Luigi Di Maio al Ministero degli Esteri, e quella nuova -l’ennesima- cui è stata costretta Israele dall’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, Conte ha detto che “Il Pd non s’è ancora tolto l’elmetto”. E ha seminato di altri chiodi il terreno del “campo largo” che già gli aveva procurato “l’orticaria” e la nuova segretaria del Nazareno Elly Schlein vorrebbe invece comporre o ricomporre con lui dopo la rottura del suo predecessore Enrico Letta.

Di certo quest’ultimo al casco non credo che sia diventato allergico. Quella vecchia foto che lo ritrae in tenuta semi-militare scendendo da un elicottero della Difesa lo inchioda in qualche modo all’immaginario di Conte. Che ogni tanto intravvede quel casco anche addosso a chi ne ha preso il posto alla guida del Pd. Dove forse sono rimasti ancora troppi dirigenti dei quali il presidente grillino avrebbe desiderato vedere l’uscita con l’arrivo della Schlein, tipo l’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini ora presidente del Copasir. Se ne sono invece andati altri di tono o peso considerato minore, a torto o a ragione.

Il direttore in persona di Repubblica, Maurizio Molinari, volendo fiduciosamente dimostrare l’esistenza di una “Italia bipartisan di Meloni e Schlein” alle prese con le guerre che vanno “dall’Ucraina a Gerusalemme”, quando sotto il titolo dell’editoriale ha dovuto fare i nomi dei dirigenti del Pd espostisi con maggiore chiarezza ha dovuto fermarsi, limitarsi e quant’altro a quelli di “Beppe Provenzano, responsabile esteri, e Lorenzo Guerini. Così come scrivendo degli uomini del centrodestra ha dovuto fermarsi al ministro forzista degli Esteri Antonio Tajani e al ministro della Difesa, e fratello d’Italia, Guido Crosetto, senza neppure allungare lo sguardo al Carroccio di Matteo Salvini.

Nella Lega sotto sotto -nonostante la partecipazione dello stesso Salvini alle proteste per la presenza di un ex terrorista rosso al corteo anti-israeliano a Milano, e la sua polemica con la ministra spagnola Irene Montero per il presunto scarso impegno contro Hamas- si è forse tentati a riconoscersi più con Conte che con Tajani, come ai vecchi tempi della maggioranza gialloverde, fra il 2018 e il 2019. Prima che il capo del Carroccio, inebriato dal 34 e più per cento di voti appena raccolti nelle elezioni europee, perdesse un po’ la testa al mare e reclamasse i pieni poteri tramite un rapido passaggio elettorale. Di cui però si era dimenticato di accertare il primo presupposto: la disponibilità del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a sciogliere le Camere anticipatamente. L’altro presupposto era la disponibilità vera del Pd alle elezioni, non quella a parole dell’allora segretario Nicola Zingaretti, improvvisamente convinto dall’ancora compagno di partito Matteo Renzi a cambiare idea e a consentire a Conte un cambio di governo e di maggioranza.

A parte la presunta o vera “Italia bipartisan di Meloni e Schlein dall’Ucraina a Gerusalemme”, che secondo Molinari “rafforza la credibilità internazionale dell’Italia”, per tornare a Conte e alla sua allergia tipo Gino Paoli all’elmetto bisogna stare attenti ad attribuirgli debolezze o altro di simile verso il terrorismo palestinese di Hamas. Il capo della comunità ebraica di Milano Walker Meghnagi ha appena dovuto scusarsi pubblicamente per avergli dato dell’antisemita, risparmiandosi così una querela già annunciata. Ma per una diabolica coincidenza quel 18 per cento di disponibilità al voto attribuito ai “solidali” con Hamas da un sondaggio di Noto citato dal direttore di Repubblica verso la fine delle sue considerazioni è di poco più di un punto superiore al 16,9 attribuito al Movimento 5 Stelle dall’ultimo sondaggio Ipsos. O al 16,5 dell’ultimo sondaggio Swg. Coincidenza, ripeto, diabolica, come solo la politica sa riservarne.
Pubblicato sul Dubbio
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