La Meloni si è confessata col Segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin

Com’era facile prevedere, Gorgia Meloni ha profittato dell’incontro da tempo programmato col Segretario di Stato del Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, in occasione della presentazione di un libro del direttore di Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, sui dieci anni del Papato di Francesco per confessarsi in pubblico e in privato coll’alto prelato. Al quale, per esempio, ha assicurato di avere “la coscienza a posto” sulla strage di migranti a Cutro e su ciò che sta accadendo ancora lungo le rotte dell’immigrazione clandestina. Dove ogni omesso o ritardato soccorso in mare dei disperati dei viaggi più della morte che della speranza gestiti dai trafficanti di carne umana è accollato dagli avversari alla coscienza, appunto, della presidente del Consiglio. Che sarebbe partecipe, complice e quant’altro di un sostanziale, odioso ed elettoralistico boicottaggio all’accoglienza perseguito dai ministri dell’Interno e delle Infrastrutture: i due Mattei del governo, Piantedosi e Salvini. Dei quali, uno espostosi anche pubblicamente con qualche infelice polemica con le stesse vittime del traffico di carne umana, e l’altro sottrattosi a qualsiasi confronto od esposizione parlamentare ma vantatosi, anche davanti alla premier, di avere avuto nella sua esperienza al Viminale il minor numero di morti grazie ai cosiddetti porti chiusi. Che per un pò gli erano stati permessi dagli allora alleati grillini.

La presidente del Consiglio ha inoltre riconosciuto alla Santa Sede di trovarsi, non avendo “interessi da difendere”, nella “condizione più idonea a favore di una soluzione negoziale” della guerra della Russia all’Ucraina: più idonea degli altri mediatori reali o potenziali che si alternano nelle cronache e nei retroscena internazionali. Andiamo dal presidente turco Erdogan a quello francese Macron, dal presidente cinese appena confermato al presidente indiano col quale la Meloni peraltro si è incontrata di recente. Il Papa in persona, d’altronde, si è più volte offerto pubblicamente in prima persona per un viaggio a Mosca e a Kiev, a condizione che Putin gli lasci “una finestra”  aperta di negoziato, ricevendo dal ministro degli Esteri una lettera di indisponibilità pur momentanea. 

Non so francamente se davvero il cardinale Parolin ne abbia parlato con la premier nei colloqui che hanno preceduto e seguito la parte pubblica del loro incontro, ma mi risulta da buona fonte che in Vaticano siano rimasti un pò spiazzati dall’iniziativa assunta proprio ieri dal governo, a più voci, di mettere nel contenzioso della guerra in Ucraina anche l’improvvisamente aumentato traffico di migranti, particolarmente dalle coste africane. Dietro al quale ci sarebbe direttamente o indirettamente la Russia di Putin per destabilizzare i paesi europei, a cominciare dall’Italia, che stanno aiutando l’Ucraina a difendere la propria sovranità ed esistenza. 

Ripreso da http://www.startmag.it e http://www.policymakermag.it

Una diarchia nel Pd per cercare di scongiurarne un’altra scissione

L’aver dovuto rinunciare al progetto di  sottomettere un pò l’antagonista sconfitto nelle primarie sino a farne il suo vice segretario, e rassegnarsi invece alla “diarchia” indicata da Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera nella presidenza del partito affidata a Stefano Bonaccini, ha reso ancora più sfaccettata di quanto già non fosse prima dell’insediamento la figura della nuova leader del Pd Elly Schlein. I cui rapporti con Giuseppe Conte forse anche per questo sono già cambiati rispetto alla cordialità ostentata nell’incontro recente a Firenze, durante la manifestazione antifascista organizzata dai sindacati, con quell’abbraccio pur non immortalato da una fotografia, o da un fermo-immagine tv.  

Intervistato dal Fatto Quotidiano, in vista della formalizzazione della “diarchia”  nel Pd, sulla più volte confermata convinzione della Schlein che fosse necessaria la prosecuzione degli aiuti militari all’Ucraina aggredita dai russi, l’ex presidente del Consiglio e ormai capo consolidato del Movimento 5 Stelle ha laconicamente preso atto che “non c’è alcuna svolta rispetto alla linea bellicista di Letta”, il predecessore al Nazareno. “Con tutto il rispetto per le sensibilità personali, valgono le posizioni ufficiali e le votazioni”, ha aggiunto Conte alludendo alle adesioni parlamentari alle quali la Schlein ha già partecipato in materia di armi a Kiev dopo averne mancato qualcuna. Giustamente, osservava domenica Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, “sono soprattutto le sfide internazionali a cambiare le prospettive, a incidere sulla vita delle democrazie, sui comportamenti dei governi come delle opposizioni”. 

Il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, non commentando ma in qualche modo completando umori e pensieri dell’intervistato, ha espresso il timore -dopo tutta l’attenzione riservata alla Schlein sotto le cinque stelle, sino alla partecipazione di qualche nome anche di rilievo alle primarie “aperte” del Pd da lei vinte- che si possa registrare l’esplosione di una rana troppo imprudentemente gonfiata. Ed ha concluso il suo editoriale ripromettendosi di verificare, questa volta assai più prudentemente di altri, se alla fine “la Schelin avrà cambiato il Pd o il Pd avrà cambiato la Schlein”. Sarebbe, quest’ultimo, evidentemente il Pd dei “cacicchi e capibastone” che la nuova segretaria ha invece sfrattato nel suo discorso di insediamento sulla nuvola di Fuksas, all’Eur, dicendo praticamente che per loro è finita. Ed è arrivato invece il momento auspicato anche da Bonaccini di indossare tutti una stessa maglietta, dismettendo quelle delle correnti e simili. 

Al Nazareno e dintorni, al di fuori della stretta cerchia degli ammiratori della prima ora e degli ex appena rientrati o rientrandi nel Pd, sono state alte e numerose le voci che hanno consigliato cautela alla nuova segretaria nell’approccio con i grillini. La più autorevole è stata quella di Romano Prodi, al quale un pò la Schlein deve la notorietà guadagnatasi in politica guidando dieci anni fa nel Pd l’incitamento ad occuparne le sedi per protesta contro la mancata elezione dell’ex premier al Quirinale, alla scadenza del primo mandato di Giorgio Napolitano. Una occupazione -mi permetto di ricordare- alla quale la Schlein non aveva minimamente pensato nei giorni precedenti, quando a fare le spese dei cosiddetti “franchi tiratori” nelle votazioni per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica era stato persino il presidente del Pd Franco Marini. Alla cui candidatura era favorevole anche il centrodestra memore della provenienza dell’interessato dalla sinistra sociale democristiana di Carlo Donat-Cattin. Che prima e anche subito dopo la caduta del muro di Berlino per il suo anticomunismo dichiarato si distingueva dall’altra sinistra, chiamata “Base” e guidata da Ciriaco De Mita segretario del partito dal 1982 al 1989: una sinistra, quest’ultima, talmente diffidente verso il Psi anche, o soprattutto, di Bettino Craxi da preferire “la scommessa” -come la chiamava con un pò di vasellina Arnaldo Forlani- “sulla evoluzione del Pci” di Enrico Berlinguer e successori. 

Prodi, per tornare a lui, ha pubblicamente consigliato alla Schlein di non considerare prioritario il problema pur importante delle alleanze, oggi all’opposizione e in futuro al governo, perché occorre prima definire bene e finalmente l’identità evidentemente un pò smarrita del Pd. Smarrita, direi, quanto meno dal momento dell’amalgama mal riuscito lamentato da Massimo D’Alema già l’anno dopo, poco più o poco meno, della confluenza fra gli eredi del Pci, della sinistra democristiana e cespugli verdi e liberali.  

Già allora, ripeto, come oggi Prodi e tanti altri, si poteva dire con Eugenio Montale solo “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”, anziché ciò che siamo e vogliamo: sia per stare all’opposizione in questa legislatura o tornare al governo nella prossima, se e quando si sarà consumata l’esperienza, l’avventura -chiamatela come volete- del centrodestra di una Meloni appena declamata “i n v i n c i b i l e” persino da Berlusconi nella cena di festeggiamento dei  primi 50 anni di Matteo Salvini, solo quattro in più della premier. Una cena purtroppo approdata sulle prime pagine dei giornali soprattutto per il karaoke non proprio felice, viste anche le circostanze esterne, sull’infelice emigrata calabrese Marinella resa famosa da Fabrizio de Andrè per la tragica fine da prostituta in un fiume del  ricco Nord.   

Pubblicato sul Dubbio

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