La coppia referendaria sulla giustizia fotomontata dal Fatto Quotidiano

         Al Fatto Quotidiano, quello naturalmente di Marco Travaglio, ci hanno pensato due giorni, quanti ne sono passati con le edicole e le redazioni dei giornali chiuse per la festività natalizia, ma alla fine hanno trovato e tradotto in un fotomontaggio da copertina, come si dice in gergo tecnico, la coppia protagonista del principale appuntamento elettorale dell’anno che sta per cominciare: il referendum cosiddetto confermativo, che potrebbe però risultare praticamente abrogativo, della riforma costituzionale della giustizia. O, più semplicemente e direttamente, della magistratura secondo la definizione di uno che se ne intende come Antonio Di Pietro, ancora Tonino per gli amici ed ammiratori. Sì, proprio lui, il molisano sostituto procuratore della Repubblica di Milano che una trentina d’anni fa fece sognare e sfilare per le strade giovani e anziani, donne e uomini, spesso persino bambini al seguito di genitori o nonni, presi dal fascino delle manette che scattavano solitamente all’alba ai polsi degli odiati politici corrotti, secondo l’accusa, dal finanziamento irregolare dei partiti.

         La coppia del referendum -al quale Di Pietro andrà peraltro a votare per il sì facendone la propaganda-  che Travaglio ha offerto al suo pubblico è composta dalla premier Giorgia Meloni, naturalmente, e da Rosy Bindi: 48 anni la prima, 74 anni l’altra. Che ha accettato l’investitura di frontwoman del no facendosi intervistare per riconoscere alla Meloni -bisogna renderle il merito, per carità- una certa  distinzione dal compianto Silvio Berlusconi, pur avendola appena messa al seguito. In particolare, la Bindi è tornata a contestare a Berlusconi “gli interessi” personali, anzi personalissimi, e non solo aziendali, che difendeva contrastando la magistratura che lo trattava come un Al Capone italiano. La Meloni invece contrasta una certa magistratura invasiva, diciamo così, per “una visione” che ha della stessa e, più in generale, dei rapporti fra politica e giustizia.

         Rapporti, questi ultimi, che naturalmente sono per la Bindi “perfettamente” equilibrati nella Costituzione. Cioè nelle sue parole, nei suoi articoli, nei suoi commi, diciamo pure generosamente nel suo spirito. Ma le cose non stanno così, per quanto la Bindi non se ne sia ancora accorta, o finga di non essersene accorta neppure dopo che non Berlusconi, non la Meloni, non il guardasigilli in carica e già magistrato Carlo Nordio, svillaneggiato da Travaglio come “mezzolitro” o “fiasco” intero, ma Giorgio Napolitano al Quirinale scrisse, su carta intestata del Presidente della Repubblica. Cioè, che ai tempi delle cosiddette “mani pulite” del già ricordato Di Pietro e colleghi e superiori, gli equilibri fra politica e giustizia subirono un “brusco cambiamento”, cioè un’alterazione che non consente oggi neppure alla Bindi quindi di indossare la Costituzione come un abito intonso, macchiato, stappato, minacciato e quant’altro dalla riforma sotto verifica referendaria. No, signora o signorina Bindi.   

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