Da modesto cronista di memoria però ancora buona, spero, avrei qualcosa da dire a uno storico di sicuro e meritato prestigio, per carità, come Ernesto Galli della Loggia. Che sul Corriere della Sera ha riconosciuto a Giorgia Meloni il merito di avere portato la destra alla guida del governo come Alcido De Gasperi, a suo tempo, la Dc incorrendo anche lui nella liquidazione, da parte della sinistra che pure aveva partecipato alle sue prime compagini ministeriali dopo la Liberazione come di un “clericofascista”. Tanto che il suo ex ministro della Giustizia Palmiro Togliatti -ricordo anche senza il supporto di Galli della Loggia- si propose nelle elezioni storiche del 18 aprile 1948 di cacciarlo “a calci in culo” dal Viminale. Dove si trovavano gli uffici del presidente del Consiglio, e non solo quelli del ministro dell’Interno.
De Gasperi, per fortuna anche di Togliatti, come avrebbe riconosciuto molti, molti anni dopo un segretario del Pci non meno storico e forse anche più popolare di lui, Enrico Berlinguer, rimase ancora più stabilmente al suo posto. E con l’adesione alla Nato fece vivere al sicuro anche il partito comunista orgogliosamente più forte dell’Occidente, ma legato a filo doppio alla centrale comunista di Mosca almeno fino agli “strappi” -ricordate?- di quel sardo apparentemente timido -Berlinguer appunto- che voleva emanciparsene
Di Alcide Gasperi il buon Ernesto Galli della Loggia ha consigliato alla Meloni di prendere anche la volontà, capacità e quant’altro di saper guardare oltre il suo recinto, diciamo così. Che lo statista democristiano ebbe anche il merito di avere voluto più ampio di quanto gli avrebbe consentito la situazione parlamentare con la maggioranza avuta nelle urne, preferendo la collaborazione con i partiti laici alle spinte d’integralismo cattolico di Giuseppe Dossetti e amici.
Neppure il discorso recente della premier a chiusura della festa nazionale del suo partito, aperta a tutti ma dalla quale la segretaria del Pd Elly Schlein ha preferito fuggire pur di non correre il rischio di doversi confrontare con la sua antagonista insieme col concorrente Giuseppe Conte; neppure il discorso, dicevo, della Meloni all’ombra di Castel Sant’Angelo dev’essere piaciuto allo storico e editorialista del Corriere della Sera. Che magari lo avrà pure sentito in diretta a Radio radicale rafforzandosi nell’opinione che la leader della destra “quando prende la parola -ha scritto- non riesca a farlo se non facendo esplodere la sua apra maestria tribunizia e distribuendo schiaffi a tutti quelli che non le piacciono”. “Una Giorgia Meloni che, pur evocando di continuo la nazione, stenta a trovare le parole che uniscono, le parole capaci di indicare grandi traguardi, di far sentire tutti, anche i lontani, coinvolti in quel disegno di vero cambiamento e di rinascita del Paese di cui sempre più abbiamo un disperato bisogno”, ha quasi concluso Galli della Loggia. Di cui sottolineo peraltro quella minuscola che ha voluto apporre alla Nazione, al maiuscolo abituale della Meloni, e quella maiuscola apposta al Paese. Minuzie, direte. Ma non tanto, penso ben conoscendo o immaginando la cura con la quale il professore editorialista del Corriere della Sera scrive e rilegge i suoi articoli prima di spedirli.
Di De Gasperi io non ricordo soltanto la capacità, volontà, sapienza di guardare e parlare oltre i confini elettorali pur larghi del suo partito e della sua potenziale autosufficienza. Ricordo anche, o soprattutto, le chiusure preconcette oppostegli dalla sinistra prima di scoprirne, dopo ma molto dopo la sua morte, meriti e preveggenza. Un po’ come avverto oggi da sinistra, e persino da settori, cespugli, contorni moderati, sotto o fuori la tenda offerta loro da Goffredo Bettini nel campo della improbabile alternativa, nei riguardi della Meloni. Che pure, sul fronte non secondario della politica estera, nei tempi che corrono, fra guerre che continuano e tregue che vacillano, si è appena guadagnata anche agli occhi esigenti, diciamo così, del Foglio una lettura morotea. Da Aldo Moro, assunto del resto come modello, o quasi, dalla stessa Meloni per le diversità dei vari paesi europei che apprezzava e considerava per niente incompatibili con la loro integrazione politica.
Pubblicato sul Dubbio
Lascia un commento