Pur messo a suo agio dalla conduttrice Lilli Gruber, che lo aveva salutato e rappresentato come l’uomo uscito due volte vincitore dalle elezioni sulla buonanima di Silvio Berlusconi, senza riuscire tuttavia – anche se la giornalista ha omesso di ricordarlo- a governare per non più di un anno e mezzo, in entrambe le occasioni; pur messo, dicevo, a suo agio, Romano Prodi non ha saputo rispondere alla domanda chiave della sua mezz’ora televisiva a la 7.
E’ accaduto, in particolare, che l’altra ospite del salotto, Lina Palmerini di 24 Ore, spalleggiata poi a sorpresa dalla conduttrice, ha chiesto a Romano Prodi, compiaciuto del realismo che ha costretto la premier Giorgia Meloni a tenere i conti sotto controllo, un po’ come ai suoi tempi a Palazzo Chigi, perché mai il governo sia riuscito a conservare intatto, se non addirittura migliorare, il consenso elettorale. Diversamente dalla sinistra che, da una ventina d’anni, non vince le elezioni: da quando, proprio con Prodi alla guida dell’Unione subentrata all’Ulivo, essa la spuntò per un soffio grazie ai centomila voti di Clemente Mastella in Campania, premiato per questo con il Ministero della Giustizia. Che l’attuale sindaco di Benevento dovette lasciare, provocando una crisi sfociata nello scioglimento anticipato delle Camere, per un’indagine giudiziaria di dimensioni familiari dalla quale naturalmente sarebbe poi uscio indenne, o quasi, al processo.
Prodi ad un certo punto, e magari a torto, mi è apparso supplichevole nei riguardi della conduttrice e dell’ospite perché non insistessero a reclamare una risposta, non un borbottio o qualche smorfia delle sue, alla domanda. Che in fondo portava pensiero e retropensiero degli spettatori alla crisi politica, elettorale e persino culturale della sinistra aspirante all’alternativa al centrodestra in un campo accidentato, più che largo come lo definisce la segretaria del Pd Elly Schlein. E come non vuole sentirlo definire l’ex presidente del Consiglio, ora presidente solo del MoVimento 5 Stelle Giuseppe Conte. Che ha appena ribadito, difendendosi dalle accuse di remissività mossegli dalla vice presidente dimissionaria del partito Chiara Appendino, di voler essere non un alleato ma uno “scomodo” interlocutore dei dirigenti di casa al Nazareno.
Quanto più Conte riuscirà ad essere o apparire scomodo, ripeto, nel rapporto col Pd, continuando lo stesso peraltro a perdere voti nelle elezioni regionali di turno, tanto più lo schieramento di sinistra nel suo complesso affonderà nel partito dell’astensione, ormai in maggioranza stabile nel Paese. Altro che l’alternativa al centrodestra, anzi alla “destra estrema”, come la segretaria del Pd usa dire in uscite anche all’estero per rappresentare l’Italia sull’orlo della dittatura, se non già immersavi sino al collo.
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