Paola Taverna, 56 anni e mezzo, popolana anche di nome, che non è un modo di offenderla perché associata alla “simpatia” nel dizionario della lingua italiana ignorato da Maurizio Landini nel dare della cortigiana alla premier Giorgia Meloni, senza poi avvertire almeno il buon gusto di scusarsi; Paola Taverna, dicevo, ne ha fatta di strada politicamente da quando arrivò in Parlamento col proposito dichiarato dal partito pentastellato, che ve l’aveva mandata, di aprirlo come una scatoletta di tonno. Che generalmente, come si sa, si svuota mangiandone il contenuto e poi si butta.
Arrivata alla vice presidenza del Senato, nella cui aula l’ancor giovane grillina si era fatta notare gridando a Silvio Berlusconi che moriva dalla voglia di sputargli o di vomitargli addosso, non ricordo bene perché è passato del tempo, la Taverna non è riuscita a rimanervi per più di due legislature. Ciò a causa di noti problemi statutari del suo partito, non per demerito, avrebbe il diritto di vantarsi. Ma l’ex presidente del Consiglio e ora soltanto presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte, peraltro scaduto e perciò in condizioni di proroga, l’ha voluta accanto a lui come vice presidente vicaria, superiore perciò agli altri, anche all’ex sindaca di Torino e deputata Chiara Appendino, 41 anni compiuti a giugno.
Sì, è proprio lei, l’Appendino che ha appena contestato a Conte le perdite elettorali procurate al partito col suo rapporto non abbastanza autonomo col Pd, fatto più di accordi locali, per esempio, che di disaccordi. E a livello nazionale più di fiancheggiamento che di distanza dal partito di Elly Schlein nel cosiddetto campo largo. Che non è -è vero- una formula gradita a Conte, che lo vorrebbe solo “giusto”, ma è pur sempre una realtà mediatica e politica: un campo in cui ci sono anche tende metaforiche, per ora, destinate a tipi come Matteo Renzi: il diavolo che prima allungò e poi interruppe spavaldamente l’esperienza persino cavouriana dello stesso Conte a Palazzo Chigi. Cavouriana naturalmente da Cavour, l’unico capo di governo più bravo di Conte nella storia d’Italia che Marco Travaglio racconta sul suo Fatto Quotidiano.
La Taverna, per tornare a lei, ha difeso come una guardia di sicurezza il suo presidente sostenendo che l’Appendino non abbia il diritto di contestargli i risultati dei rapporti col Pd dopo avere voluto nel suo Piemonte un isolamento orgoglioso all’opposizione che ha ridotto il Movimento 5 Stelle al 6 per cento. Che sarebbe più o meno in linea con la consistenza del partito appena registrata col voto regionale nelle Marche, in Calabria e nella Toscana. Dove tuttavia -la Toscana cioè- i pentastellati sono scesi al 4 per cento sostenendo la conferma di un governatore del Pd, Eugenio Giani, già socialista, osteggiato nella legislatura precedente. Al quale la Taverna da Roma, con le funzioni ricevute da Conte, ha contribuito ad assegnare un programma nominalmente nuovo, anzi “discontinuo”. Di quanto si vedrà.
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