Il solito, continuo processo politico e mediatico a Giorgia Meloni

         Poco importa con quanta consapevolezza Walter Veltroni nella sua veste di editorialista del Corriere della Sera, ma pur sempre rappresentando anche la parte politica vissuta come uomo di partito e di governo, ha esorcizzato la deriva politica, appunto, dell’Italia lamentando solo quella americana con Trump alla Casa Bianca. Che ha portato gli Stati Uniti ad un “bivio”, probabilmente già superato in senso e modo naturalmente negativo, torcendo la democrazia con l’odio. Che Trump ha rivendicato il merito di sentire e praticare nei riguardi degli avversari anche nella celebrazione dell’attivista Charlie Kirk.

         L’unico riferimento di Veltroni alle cose, diciamo così, di casa nostra è alla mancata celebrazione in Parlamento, diversamente da quanto è accaduto con Kirk, dell’assassinio in America -a suo tempo-  della deputata Melissa Hortman e di altre violenze subite da esponenti della parte democratica, intesa come omonimo partito. Mancata celebrazione -mi permetto di rilevare- per un difetto d’iniziativa del Pd, assunta invece nel Parlamento italiano dal partito di maggioranza relativa, che è quello meloniano dei “fratelli d’Italia”.

         Piuttosto che ricordare Melissa Hortman o solidarizzare con Nency Pelosi quando fu aggredito il marito in casa, le opposizioni in Italia, a cominciare da quella di sinistra, preferiscono esibirsi anche muscolarmente da qualche anno contro il governo di centrodestra e la sua leader, contestando loro di tutto. Anche di avere vinto le elezioni nel 2022 sulla carta, rappresentando in realtà un terzo dell’elettorato, al netto degli elettori rimasti a casa.

         Ora poi, anche dopo che immagini e simili della Meloni vengono bruciate nelle piazze o rappresentate con la testa in giù, appesa ad una forca metaforica, si contesta alla premier il diritto, l’opportunità e quant’altro di lamentarsene. Le sue proteste sarebbero solo occasioni di alimentare durezza, a dir poco, in quello che la buonanima di Aldo Moro chiamava “confronto”, intestandogli anche una sua agenzia di stampa e una corrente nella Democrazia Cristiana.

         La Meloni, contestata fra  tutti i salotti televisivi in modo particolarmente  assiduo e scientifico, direi, in quello della Lilli Gruber su La 7, dovrebbe per stile e senso di responsabilità come presidente del Consiglio porgere l’altra guancia allo schiaffo di turno. E magari scusarsi per essere salita politicamente così in alto. E pure per alzare troppo la voce nei discorsi parlamentari e nei comizi, scadendo in quell’accento borgataro romano che non più tardi di ieri sera ho sentito contestarle, proprio nello studio televisivo della Gruber, dal novantenne Corrado Augias, compiaciuto del “saggio”, elegante”, “colto” che si procura. Ieri sera, ripeto, in qualche modo anche da Italo Bocchino, chiamato o ammesso dalla Gruber a prendere le difese della premier assente.

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