In perfetto e usuale aplomb scientifico il giurista Sabino Cassese sul Corriere della Sera, dove l’argomento era stato già trattato dal direttore Luciano Fontana scrivendone il giorno prima ad un lettore, ha tradotto in “belligeranza” la campagna elettorale continua che si svolge in Italia. E che trasforma ogni polemica, ogni contrasto, ogni discussione, ogni sospiro in una specie di corpo a corpo, di partita decisiva per stendere al tappeto l’avversario. E gridare “vittoria”, per fortuna non ancora scrivendola sui muri come Mussolini nel secolo scorso.
Se questo è il livello di quello che una volta chiamavamo ottimisticamente dibattito o confronto politico, in Parlamento e nei mezzi di informazione scritta, parlata ed elettronica, abbiamo poco da stupirci e da protestare, se nel nostro piccolo vi contribuiamo, quando vediamo le piazze e le strade invase dalla guerriglia urbana come l’altro ieri.
Urbana solo per locazione, diciamo così, perché di urbano non hanno niente quelle manifestazioni da tutti condannate per la loro violenza in modo, una volta tanto, bipartisan. Per eterogenesi dei fini esse sotterrano anche le cause che pensano di sostenere. A cominciare naturalmente da quella palestinese, già tradita, anzi supertradita dai terroristi palestinesi che hanno compromesso Gaza e dintorni prima ancora del governo israeliano processato ormai in tutto il mondo per la reazione al pogrom del 7 ottobre di due anni fa. Processato e condannato con rito sommario per genocidio, addirittura, uguale e contrario a quello nazista del secolo scorso. Solo a leggerne, figuriamoci a scriverne, dovrebbe girarci la testa. Come nel mondo al contrario del generale, eurodeputato e ora anche vice segretario della Lega Roberto Vannacci, appena bagnatosi nelle acque metaforiche di Pontida. Spero inconsapevole del contributo che egli fornisce al sottosopra. Inconsapevole, ripeto, perché sennò dovrei andare ben oltre il rischio avvertito da leghisti altolocati come il presidente della Lombardia Attilio Fontana, della “vannicizzazione” di quello che pur rimane, con tutti i sottosopra precedenti, di carattere giudiziario e politico, il partito più antico di questa nostra cosiddetta seconda Repubblica. Al cui esordio fummo in tanti, forse in troppi, a salutare come salvifico il bipolarismo, vedendovi una semplificazione degli schieramenti e, più in generale, della politica.
Ne è nato invece, per tornare a Cassese, uno stato di “belligeranza” che “alimenta il rifiuto”, visto che “solo poco più del 63 per cento degli aventi diritto al voto si reca alle urne, con la conseguenza che i nostri governi rappresentano solo un quarto del Paese reale”. E “negli ultimi vent’anni -ha proseguito il professore, ex ministro e giudice emerito della Corte Costituzionale- il numero degli uomini che si informano e discutono di politica è diminuito di quasi il 13 per cento e si attesta a poco più della metà”, scendendo a un terzo per i giovani tra 18 e 24 anni. Ma temo che i dati di Cassese non siano aggiornati al peggioramento intervenuto dopo la loro raccolta e sistemazione in archivio.
Pubblicato sul Dubbio
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