In questa stagione che la premier Giorgia Meloni ha definito di odio, ma basterebbe chiamare di rabbia per essere contestata, meritano grandissimo rispetto due autentici galantuomini che continuano ad avere passione politica, e cercano di alimentarla, anche o grazie al riconoscimento di errori di valutazione ed anche di comportamento commessi nel loro passato più o meno giovanile. Sono, in ordine rigorosamente alfabetico, Chicco Testa e Claudio Velardi. Che si scambiano da tempo sul Riformista, diretto dallo stesso Velardi, lettere evocatrici di quegli errori la cui ammissione, anzi il cui racconto consente oggi ad entrambi di partecipare al dibattito politico senza l’odio, la rabbia, il livore, come dicevo, che offusca tutto.
Giunti o tornati alle “mani pulite” di una trentina d’anni fa, che produssero ancora più odio di adesso e decapitarono la politica come non ancora, per fortuna, si è riusciti adesso, Testa e Velardi hanno testimoniato onestamente il contributo dato dalla loro parte politica, che era quella comunista, allo sfascio del sistema.
Senza le riserve una volta espresse da Goffredo Bettini lamentando il ritardo, che lo avrebbe infarcito di opportunismo inaccettabile, del famoso discorso di Bettino Craxi alla Camera, Testa ha indicato come “primo errore” della sinistra proprio quello di “non prendere sul serio” il problema posto dal leader socialista di dare una soluzione politica e non giudiziaria al problema della diffusa pratica del finanziamento irregolare o illegale della politica. Il secondo e conseguenziale errore della sinistra fu quello “di schierarsi a fianco della magistratura senza se e senza ma, facendo del pool di Milano e di Di Pietro degli eroi moderni e chiudendo gli occhi sugli abusi e la cancellazione di ogni garanzia che in quel periodo la magistratura utilizzò largamente”.
“Noi sopravvivemmo grazie al silenzio del compagno Greganti”, che si assunse tutta la responsabilità della raccolta dei fondi irregolari destinati al Pci, e “al favore della magistratura”, ha scritto Testa. Che ha insistito chiededendosi: “Eravamo davvero innocenti?”. E ha risposto: “Ho rivestito qualche incarico di responsabilità, fui ministro del governo ombra che Occhetto varò durante la sua segreteria e ricordo bene le ricche sottoscrizioni che per esempio venivano dalle Cooperative e da diverse imprese private legate agli appalti pubblici. Registrate come sottoscrizioni ma di fatto pagate per acquistare benevolenza e un occhio di riguardo”.
Il ricordo fatto da Velardi è quello della notizia, da lui riferita come capo ufficio stampa del gruppo comunista della Camera al presidente Massimo D’Alema, del coinvolgimento dell’allora ministro socialista della Giustizia Claudio Martelli in Tangentopoli. “C’è poco da esultare”, commentò D’Alema. Che aggiunse: “Capisci o no che ci stanno mettendo in mezzo tutti?”.
Anche quei comunisti che scamparono giudiziariamente finirono politicamente per non andare lontano, sconfitti da un Berlusconi col quale -ha scritto Velardi- “c’erano sempre di mezzo i soldi, ma almeno erano i suoi”.
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