In ricordo di Emerenzio Barbieri, cresciuto alla scuola di Carlo Donat-Cattin

Di Emerenzio Barbieri, spentosi domenica scorsa nella sua Reggio Emilia a due mesi dal compimento dei 79 anni, si è scritto che sia morto d’infarto, all’improvviso, come gli sarebbe piaciuto, ha raccontato Gianfranco Rotondi. Ma che infarto e infarto, con tutto il rispetto per i medici che lo hanno certificato.

Emerenzio, il mio carissimo amico Emerenzio, che conobbi quando era il braccio destro, ma anche sinistro, di Carlo Donat-Cattin, l’indimenticabile leader della sinistra sociale della Democrazia Cristiana, anticomunista e perciò trattata peggio della destra perché considerata traditrice, quasi contro natura; Emerenzio, dicevo, è morto più semplicemente e drammaticamente di crepacuore. Come tanti altri della sua parte politica avendone vissuto la dispersione e il tradimento -esso sì- fra le macerie della Dc.   

         Pier Luigi Castagnetti -che ha recentemente mandato a dire, anzi ha detto alla segretaria del suo Pd Elly Schlein dopo la batosta referendaria su lavoro e cittadinanza al seguito della Cgil di Maurizio Landini, che “così va a sbattere”- si è vantato di avere a suo tempo iscritto lui Emerenzio alla Democrazia Cristiana. E di essergli rimasto amico anche dopo la rottura politica consumatasi quando i donat-cattiniani concorsero, anzi determinarono con un famoso  “preambolo” congressuale democristiano a chiudere a chiave in archivio la fase della cosiddetta solidarietà nazionale col Pci, seguita alle elezioni politiche anticipate del 1976. Chiudere a chiave, ripeto, perché la porta era stata già sbattuta alle proprie spalle dal segretario comunista Enrico Berlinguer, ritiratosi spontaneamente dalla maggioranza di sostegno a due governi monocolori democristiani presieduti da Giulio Andreotti. E ciò per sottrarsi non so se più ad una fase elettorale declinante per il suo partito o al passaggio del riarmo missilistico della Nato. Sotto il cui ombrello egli aveva pur annunciato di sentirsi “più sicuro” nei rapporti ormai tormentati fra le Botteghe Oscure e Mosca.

         Alla morte di Carlo Donat-Cattin, mentre tramontava ormai la cosiddetta prima Repubblica decapitata poi dalla magistratura di Mani pulite, Emerenzio non condivise la successione, decisa in famiglia, a favore di Franco Marini per la successione alla guida della corrente Forze nuove.  Ma non mosse un dito per contrastarla sapendo ch’essa era stata messa nel conto dallo stesso Donat-Cattin. Pur con tutto il rispetto e l’amicizia per Marini, Emerenzio ne avvertì e previde i condizionamenti che avrebbe subito nel gioco sempre complesso delle correnti scidocrociate, aggravato infine dalla diaspora democristiana che sarebbe seguita alla nascita del centrodestra. Dove Emerenzio, che scherzava per primo col suo nome definendosi Emerito, preferì rifugiarsi, al seguito di Pier Ferdinando Casini, entrando finalmente in Parlamento. Da cui uscì in tempo nel 2013 per risparmiarsi di vedere la deflagrazione del “guaio”, come lui lo chiamava, della confluenza di quel che rimaneva nominalmente della sinistra democristiana nel Pd, avvenuta proprio con Marini. Che ne fu ripagato con una candidatura sostanzialmente falsa al Quirinale per la successione a Giorgio Napolitano. Falsa, perché messa durò per una sola votazione, affondata dai franchi tiratori dello stesso Pd per lanciare poi quella vera di Romano Prodi. Che tuttavia fallì anch’essa in una tale confusione che si formò davanti alla porta di Napolitano una fila lunghissima e disperatissima di uomini e partiti che lo supplicavano di accettare una rielezione, poi esauritasi in un biennio troppo faticoso anche per un uomo della salute e dei nervi come il primo e unico ex o post-comunista salito al vertice dello Stato.

         “Glielo avevo detto io di non fidarsi di quella gente”, mi disse l’ormai ex deputato Barbieri parlando della mancata elezione di Marini al Quirinale. Sulla mancata elezione di Prodi non volle spendere neppure una parola, tanto non l’aveva mai appezzato ricordando il giudizio che aveva di lui Carlo Donat-Cattin in vita.

         Addio, Emerenzio, amico mio.

Pubblicato su Libero

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