Un incredibile racconto italiano della guerra in corso fra Israele e Iran

         Poiché ho avuto l’occasione di conoscerne il carattere irruente, la franchezza persino spietata, il velluto mai sufficiente a contenerne il pugno fisico e metaforico, penso che debba essere costato molto a Giuliano Ferrara nel numero preconfezionato di lunedì del suo Foglio lasciare nell’anonimato, e persino mescolarvisi in un plurale melenso, “gli impudenti, lenti, esitanti, pacifisti accucciati nel benessere” e altro ancora alle prese con la guerra che nella sua solita, straordinaria “solitudine”, Israele sta conducendo contro l’Iran. Che è deciso ad arricchire della bomba atomica il suo arsenale già molto fornito da usare direttamente o indirettamente, con i terrorismi islamisti alle sue dipendenze, contro gli  ebrei.

         Dev’essere costato molto, ripeto, a Ferrara non fare nessun nome per non farne soprattutto uno distintosi fra un editoriale sul Corriere della Sera e il solito salotto televisivo di complemento, l’amico Paolo Mieli. Non accodatosi ma messosi subito alla testa dei contestatori di questa guerra all’Iran condotta da Israele col dichiarato proposito di provocare anche un cambiamento di regime a Teheran. Dove, anche secondo l’insospettabile e più volte ex direttore del maggiore giornale italiano, si rischierebbe di avere come successore di Khamenei uno peggiore di lui. Che si farebbe rimpiangere come Gheddafi in Libia, Saddam Hussein in Irak e persino Stalin a Mosca, dove ora recita la parte di Pietro il Grande, addirittura, un Putin offertosi a mediare fra Israele e Iran, o viceversa, al presidente americano Donald Trump. Disposto magari, quest’ultimo a scaricare del tutto l’Ucraina per salvare Nethanyau a Tel Aviv e Gerusalemme.

         Scusate se non proseguo ma ho il voltastomaco. Spero di stare meglio domani.   

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