La coppia…scoppiatissima di Donald Trump ed Elon Mask

Mi permetto una lettura un po’ andreottiana della rottura, celebrata sui giornali di tutto il mondo, del rapporto una volta simbiotico fra Donald Trump ed Elon Musk. Una rottura che qualcuno, in verità, al di là e al di qua dell’Atlantico aveva messo nel conto anche dopo il sostanziale incarico di governo conferito dal presidente americano al maggiore, o fra i maggiori finanziatori della sua campagna elettorale per il ritorno alla Casa Bianca. Un uomo dotato di forbici più concrete di quelle ostentate in cartone dai grillini in Italia al loro arrivo in Parlamento, che intendevano aprire come una scatola di tonno. In cui alla fine sono affogati anche loro rinunciando di fatto al limite dei due mandati. La carne, si sa, è debole.

         La buonanima di Giulio Andreotti diceva notoriamente che a pensare male si fa peccato ma s’indovina. Non sempre, magari, ma spesso. Il mio cattivo pensiero, la mia malizia su Musk consiste nel forte, fortissimo sospetto ch’egli abbia rinunciato almeno alla dimensione dei suoi rapporti con Trump non tanto per gli interessi compromessi dalle scelte dirompenti del presidente americano, che procura alle Borse, con la maiuscola, avventure da ottovolante, quanto per la sensazione avvertita di perdere non dico l’esclusiva ma almeno l’intensità della sua influenza alla Casa Bianca,intesa in senso molto largo.

         Musk, il ricchissimo e persino sfrontato amico e finanziatore di Trump ha forse sentito spirare da Roma correnti e quant’altro sfavorevoli al suo peso. Ma una Roma intesa non certo come Palazzo Chigi, dove lavora e opera una estimatrice e amica di Musk come la premier Giorgia Meloni. Che anche in quelle occasioni in cui le è capitato di dissentire da lui lo ha fatto con la comprensione, la bonarietà e simili di un’amica appunto. Parlo della Roma dell’altra riva del Tevere, la Roma del Vaticano, del Palazzo Apostolico tornato alle sue complete tradizioni dopo i dodici anni alberghieri, diciamo così, di Papa Francesco. Che, magari finendo anche per costare di più al Vaticano con la sua residenza nella Casa Santa Marta, aveva ritenuto di vivere in modo davvero francescano, non solo di nome, la sua esperienza pontificia.  

         L’elezione dello statunitense Robert Francis Prevost a Papa con quel nome di Leone XIV che evoca sì il tredicesimo della Rerum Novarum, ma anche il primo, santo e Magno che volle e seppe fermare Attila, deve aver fatto riflettere Musk, anche senza l’aiuto dell’intelligenza artificiale sulla influenza che potrebbe avere il nuovo Papa su Trump.

Riuscito a incuriosire Papa Francesco, sino ad essere ricevuto da lui con alcuni dei figli, Musk deve aver capito che col successore la musica è cambiata o può cambiare anche per lui. Che per non ascoltarla, o non subirne gli effetti, potrebbe solo tentare, con tutti i mezzi che ha a disposizione, di trasferirsi su Marte.

Pubblicato sul Dubbio

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