Oltre che Santo, con la maiuscola dovutagli per fede, lo Spirito del Conclave per la successione a Papa Francesco è stato sarcastico. O quanto meno spiritoso, come d’altronde Francesco raccomandava a tutti di essere cercando spesso di dare il buon esempio, anche a costo di qualche gaffe, a dire il vero. Come quella volta in cui, contraddicendo le sue stesse aperture agli omosessuali dubitando di poterli giudicare, si lamentò con i vescovi della “troppa frociaggine” che anche lui aveva avvertito nei seminari.
Il primo Papa americano -o statunitense, come precisano quanti hanno considerato e considerano come primo il sudamericano Josè Bergoglio- ha già fatto da vivo il miracolo di fare ridere di Donald Trump, e non solo indignare o temere. Ridere per la rapidità con la quale dalla Casa Bianca, o ovunque fosse in quel momento, il presidente degli Usa ha annunciato la sua soddisfazione per il connazionale salito al vertice della Chiesa, dove lui si era goffamemte immaginato con quel fotomontaggio visto in tutto il mondo. E apparso a molti come una provocazione al Conclave non ancora cominciato, oltre che al buon gusto.
Ma la soddisfazione, il compiacimento, persino l’entusiasmo, come tutte le cose di Trump, hanno rotto il muro del suono con la sostanziale richiesta al Papa di un incontro che non gli sarà di certo negato. Ma durante il quale Leone XIV -il nome europeo in cui Robert Francis Pivot ha voluto avvolgersi e riconoscersi- vorrà e potrà lasciare baciare dall’ospite non più dell’anello pontificio al dito. Umiliazioni di quelle che Trump attribuisce spesso ai suoi interlocutori reali o immaginari, addirittura in fila per baciargli i glutei, sono escluse.
Penso fiduciosamente che questo Papa, primo o secondo americano che voglia o debba essere considerato, si farà gradire da fedeli e non credenti. E a chi lo teme per il vantaggio che potrà ricavarne il meno o per niente apprezzato Trump vorrei ricordare l’incidente in cui incorse la buonanima di Giancarlo Pajetta nei corridoi della Camera commentando nel 1978 con i cronisti parlamentari l’elezione a Papa appena avvenuta del primo e sinora unico polacco: Karol Jozef Wojthyla. Il famoso e sempre urticante deputato del Pci lo segnalò sarcasticamente, diciamo così, come un rompi…scatole per chi in Vaticano avrebbe dovuto subirne la guida. Giovanni Paolo II ruppe in realtà qualcosa, ma di tutt’altro genere e dimensione come il comunismo sovietico.
Pur costretto a compiacersene e ad offrirsi, ripeto, una volta tanto lui alla devozione del bacio, Trump ha finalmente trovato -o di già, visto che è tornato alla Casa Bianca da meno di quattro mesi- un americano, oltre che un Papa, a dir poco problematico per le ambizioni sinora coltivate o minacciate dall’inquilino di quella magione. Un Papa che gli potrebbe tuttavia essergli utile nel perseguimento di quella “pace disarmata e disarmante” – ha detto Leone XIV- che il presidente americano si è accorto di non potere costruire da solo, avendo dato francamene la sensazione di perseguirla solo negli interessi degli Stati Uniti, se non addirittura personali nel mondo pur globalizzato degli affari.
Pubblicato sul Dubbio
Lascia un commento