L’Amleto del Cremlino, come merita forse di essere chiamato Putin, si è smentito in poche ore. Ha smentito, in particolare, una certa disponibilità fatta annunciare dal suo portavoce a trattare anche direttamente con Zelensky una pace in Ucraina, scommettendo forse sulla ragione, a suo avviso, alla quale il presidente ucraino poteva essere stato ridotto da Trump nell’incontro nella Basilica di San Pietro. Che aveva rubato la scena ai funerali di Papa Francesco.
L’Amleto, ripeto, del Cremlino non solo ha ripreso o continuato la sua “operazione speciale”, cominciata più di tre anni fa per la “denazificazione” addirittura dell’Ucraina. Ma fra gli obiettivi dei suoi droni e delle sue truppe ha incluso Sumy. Non bastandogli evidentemente la strage nella città ucraina ormai nota come quella della domenica delle Palme. Di fronte alla quale anche Trump alla Casa Bianca aveva perso la pazienza e cominciato a dubitare delle troppe aperture e concessioni fatte a Putin nei primi novanta giorni della sua seconda permanenza alla Casa Bianca, sino ad assegnargli il ruolo dell’aggredito, e non dell’aggressore. E ciò dopo avergli concesso anche il famoso strapazzo a Zelenshy in diretta televisiva da Washington.
Sul Corriere della Sera Paolo Mieli si è posto oggi qualche domanda, di fronte all’improntitudine feroce di Putin, sulle ragioni della “gran fretta” avuta da Trump di lasciare sabato scorso Roma, dove pure era riuscito -ripeto- a rubare la scena ai funerali del Papa e a proporsi come un protagonista assoluto. Ed ha espresso il timore, se non già la convinzione, il mio amico Paolo, di dovere ricordare “come il giorno della grande illusione” quello vissuto sabato scorso anche da lui. Che era corso di sera in uno dei salotti televisivi che lo ospitano come a casa annunciando di avere “personalmente” verificato dalle sue postazioni elettroniche di informazione che in Ucraina non c’erano state in giornata azioni di guerra. Evidentemente si stavano solo programmando.
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