Quel rapporto speciale di Papa Francesco con Giorgia Meloni

Non ho dubbio alcuno, scrivendone peraltro in un giornale che me lo consentirebbe col nome che porta nella testata, sull’interesse politico che può avere avuto la premier Giorgia Meloni a ricordare e sottolineare il rapporto particolare e personale avuto con Papa Francesco, anche commemorandolo a Montecitorio, a Camere riunite insieme. Ma è stato un rapporto reale, non costruito artificialmente, con retroscena, allusioni e quant’altro che il Papa d’altronde non avrebbe tollerato, tanto era spontaneo e diretto il suo umore. Un rapporto a prova di ogni foto e vignetta.

         Impressionante è vedere quel viso inconfondibilmente corrucciato di Francesco nella foto, riproposta in questi giorni, del suo incontro con Trump, consorte e figlia in Vaticano all’epoca della sua prima presidenza degli Stati Uniti.  Un viso contrapposto al sorriso sfacciato, come al solito, dell’ospite che davvero col Papa non aveva nulla da spartire. E ancor meno ne ha avuto tornando qualche mese fa alla Casa Bianca.

         Qualche dubbio invece me lo permetto sul diritto, personale e politico insieme, che la segretaria del Pd Elly Schlein -per parlare della maggiore esponente dello schieramento di opposizione- si è arrogata di dare dell’ipocrita alla Meloni, come premier e come fedele essendo l’una e l’altra, per la sua devozione al Papa scomparso. E per la gratitudine espressa per i consigli ricevuti da lui, fra i quali il più prezioso – e non so francamente se e quanto sarà ascoltato- di non perdere il senso dell’ironia nell’affrontare quel verminaio che riesce ad essere troppo spesso la politica. Per non evocare altro, come face una volta, in senso anche autocritico, l’allora ministro socialista Rino Formica.

         Quel diritto arrogatosi dalla Schlein di certificare sostanzialmente lo stato di fede o di infedeltà, di virtù o di peccato, della sua avversaria politica è in fondo offensivo anche per la figura e la memoria del Papa. Quasi denunciandone e lamentandone l’accondiscendenza avuta in vita nei rapporti con la premier italiana.

         Un esempio, al contrario, di correttezza nell’esercizio della politica lo appena dato il novantenne fresco di compleanno Gennaro Acquaviva parlando della Meloni. Alla quale “la fortuna” non solo personale ma dell’Italia -ha detto in una intervista al Riformista- ha concesso di partecipare alla “centralità” ritrovata da Roma nei e con i funerali del Papa. Di un Papa come Francesco e in un una congiuntura internazionale come questa, fra tanti “pezzi” di guerra   mondiale in corso, per ripetere un termine che adoperava di frequente Jorge Maria Bergoglio, all’anagrafe argentina. 

         Gennaro Acquaviva –“il mio monsignore” diceva di lui  con ironica simpatia e amicizia Bettino Craxi, sempre grato dell’aiuto ricevutone su entrambe le rive del Tevere, fra Palazzo Chigi e il Vaticano, nella storica revisione del Concordato- ha colto un elemento, una circostanza, una occasione che solo in una visione velenosamente partigiana della politica si può negare. O solo ignorare.

Pubblicato sul Dubbio

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