A 88 anni compiuti il 17 dicembre scorso, e a 12 anni dalla sua elezione a 266.mo Pontefice di Santa Romana Chiesa, Papa Francesco è morto in servizio, come voleva. E, credo, abbia anche consapevolmente accelerare non risparmiandosi nella convalescenza seguita al lungo ricovero nel Policlinico Gemelli per una polmonite bilaterale,
Espostosi ancora ieri nella benedizione pasquale Urbi et Orbi dalla Basilica di San Pietro, pur con un filo di voce che ne rivelava il grave quadro fisico nella visione doverosamente ottimistica dei suoi medici, dei suoi collaboratori e dei milioni e milioni di fedeli che hanno potuto sentirlo e scorgerlo guardando la televisione, Papa Jeorge Mario Bergoglio, argentino ma di origini italiane, ha voluto andarsene, “tornale al Padre”, come è stato annunciato, a modo suo. Così come volle fare il Papa polacco Giovanni Paolo II, e in fondo anche il Papa tedesco Benedetto XVI. Che preferì morire da Papa emerito, dimettendosi quando valutò le proprie condizioni di salute inadeguate all’esercizio delle sue funzioni.
I fedeli, ma non solo loro, si erano affezionati a questo Papa sotto tanti aspetti più imprevedibile dei suoi predecessori. Che è morto, purtroppo, nell’angoscia delle tante guerre ereditate e cresciute sotto il suo Pontificato: E da lui paragonate a tante pillole di una guerra più grande in corso nel mondo. Una guerra che lui non distingueva fra giusta e ingiusta considerandola semplicemente offensiva per la vita. E persino inutile per le ambizioni di chi l’aveva voluta, non importa in quale parte del mondo e in quale dimensione.
La politica italiana- se è consentito scendere così tanto nell’analisi della morte di un Papa- rimpiangerà la scomparsa di un Pontefice che ha saputo tenersene lontano. Ma non credo indifferente, tuttavia.
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