Dietro, sotto e sopra la tregua pasquale, e oraria, di Putin all’Ucraina

Come tutte le cose di Putin, al quale Ellekappa su Repubblica ha felicemente allungato il naso sino a farlo diventare un missile, la tregua di 30 ore annunciata nella guerra all’Ucraina un po’ fa ridere ma ancor più inorridire per quello che rivela delle sue concezioni, delle sue abitudini e della sua politica.

Fa ridere per la disinvoltura di una tregua annunciata come una concessione-  magari agli ortodossi e ai cattolici che in Russia e in Ucraina festeggiano una volta tanto la Pasqua nella stessa domenica-  dopo averla fatta intravvedere per 30 giorni continuando a fare stragi. Fa inorridire perché, limitata ad una festa speciale come una Pasqua comune -ripeto- per ortodossi e cattolici, la tregua significa che la guerra è ordinaria nella concezione che Putin ha della vita sua e degli altri. Ordinaria a dispetto anche dell’aggettivo “speciale” assegnato per legge alla “operazione” contro l’Ucraina ordinata più di tre anni fa.  

Chi fra i sudditi del Cremlino -perché così i russi sono considerati fra quelle mura, come ai tempi sovietici e prima ancora zaristi- osava chiamarla guerra, cioè col suo nome vero, finiva arrestato. In un paese peraltro dove dal carcere si finisce più facilmente morti che vivi. Lo sanno proprio i dissidenti in generale, non solo sulla guerra a quel nazista ed ebreo rinnegato che Putin considera il presidente ucraino Zelensky. Sul quale il presidente americano in carica parlandone anche con o davanti alla premier italiana Giorgia Meloni, che ne sottolineava il ruolo di aggredito confermando quello di aggressore a Putin; sul quale, dicevo, Trump non ha cambiato il suo giudizio duramente critico.

Poco importa a questo punto se  Trump non lo ha cambiato idea su Zelensky perché davvero convinto che al presidente ucraino piaccia giocare con una guerra persino mondiale, come gli ha gridato in faccia pur avendolo ospite alla Casa Bianca, o per potere continuare ad attaccare e offendere come un mezzo criminale e tutto scimunito predecessore Joe Biden. Che di Zelensky è stato sostenitore convinto e decisivo per la lunga resistenza opposta dagli ucraini ai russi, avventuratisi nella già ricordata “operazione speciale” con la presunzione di poterla concludere in una quindicina di giorni arrivando a Kiev ed ammazzando o mettendo in fuga Zelensky.

 Già questo obiettivo così tanto mancato, e a così alto costo per i russi, basta e avanza per dare di Putin, dei suoi generali e dei suoi alleati, persino sul campo, il giudizio che meritano.  

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