
“Il triangolo no. Non l’avevo considerato”, cantava nel 1978 Renato Zero sommerso dagli applausi del suo pubblico. Che nel 1981 sarebbe diventato “dei sorcini” per un’altra canzone dello stesso artista sui “figli della topa”
Ridiamoci pure sopra, come farebbe per primo proprio lui, Renato Zero, se gli chiedessi di poter usare le sue parole di fronte alla triangolazione galeotta, a dir poco, che si è realizzata nelle ultime 24 ore fra Washington, Roma e l’Aia..

Da Washington è partito l’ordine del presidente americano Donald Trump di sanzionare la Corte penale internazionale per un mandato di cattura contro il premier israeliano Benjamin Netanyauh. Difeso dal presidente americano come “alleato” dall’accusa di genocidio mossagli per la guerra a Gaza, provocata dal podrom del 7 ottobre 2023 dei terroristi palestinesi di Hamas. Che avevano fatto strage di bambini, giovani e anziani in territorio israeliano catturandone altri per usarli come ostaggi. Quali d’altronde sono diventati anche i palestinesi abitanti a Gaza avendo sotto le loro case, le loro scuole, i loro ospedali, i loro mercati gli arsenali militari della loro guerra agli ebrei.
L’Aia è la sede di quella Corte, cui aderisce l’Italia, diversamente dagli Stati Uniti e da molti altri paesi fra i quali la Russia e la Cina, che ha scelto nei giorni scorsi il nostro Paese per chiedere l’arresto di un generale libico accusato di crimini di guerra e contro l’umanità, dopo essere stato lasciato viaggiare libero fra la Gran Bretagna, il Belgio e la Germania. Ne è nato un caso che ha terremotato la politica italiana per le accuse di complicità con quel generale che il governo si è procurato nelle aule parlamentari e nel teatro mediatico avendolo rimandato in Libia con un aereo di Stato, per ragioni di sicurezza e di urgenza, dopo una scarcerazione disposta dalla Corte d’Appello di Roma.
Il vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha reclamato un’inchiesta contro la Corte penale internazionale per avere scelto per l’arresto del generale il paese più esposto nei rapporti con la Libia com’è l’Italia. Che ne dipende per le forniture energetiche, per la presenza di molti italiani che vi lavorano in proprio o alle dipendenze di imprese di rilievo come l’Eni e per il controllo delle coste da cui partono molti degli mmigrati clandestini gestiti da criminali.
All’inchiesta reclamata da Tajani si sono aggiunte, questa volta davanti al Parlamento, i rilievi mossi dal ministro della Giustizia Carlo Nordio ai documenti della Corte penale internazionale, tanto “pasticciati” da dover essere corretti e sostituiti alla fonte.
All’Aia, infine, per tornarvi, si sta cercando in questi giorni, con mezzi palesi come una denuncia privata e sotterranei, di fare promuovere un’azione giudiziaria contro il governo italiano per avere rimpatriato il generale libo Almasri.
Washington, Roma e l’Aia. Una triangolazione, dicevo, galeotta. E nel contesto di uno scenario internazionale dagli imprevedibili sviluppi, anche se formalmente è in corso una tregua a Gaza e se ne insegue un’altra, o ancora di più, nell’Ucraina messa a ferro e fuoco dalla Russia di Putin con una invasione cominciata quasi due anni fa.
Pubblicato sul Dubbio
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