I magistrati spesso le fanno grosse, d’accordo, condannando a torto o motivando male i loro giudizi per la valutazione di eventuali aggravanti o attenuanti, come si dice in gergo tecnico. E’ accaduto, per esempio, con la condanna di un imputato di due omicidi -uccidendo moglie e figliastra- alla vigilia della separazione dopo un lungo periodo di turbolenta vita familiare. La cui considerazione, unita a quella del suo comportamento da imputato confesso e collaborativo e da detenuto disciplinato, ha indotto la corte d’Assise di Modena con sentenza emessa dopo poco più di due anni dal fatto a risparmiargli l’ergastolo, comminandogli solo 30 anni di carcere.
Non sono piaciute ai familiari delle vittime, ai loro difensori e a un bel po’ di analisti e cronisti giudiziari le “comprensibili” condizioni di esasperazione riconosciute all’imputato. E interpretate come un brutto segnale a potenziali femminicidi, ahimè, frequenti.

A leggere certi titoli di giornali e sintesi di prima pagina il pollice verso, diciamo così, contro la sentenza pur di condanna appare scontato, diciamo pure obbligatorio. “Uccise moglie e figliastra. La sentenza choc: va capito”, ha titolato il Corriere della Sera, facendo delle “motivazioni” del mancato ergastolo “un caso politico” per le reazioni alla sentenza giunte da parlamentari.

“Uccidere la moglie non è (mai) umano”, ha severamente ammonto sulla Stampa la scrittrice Viola Ardone definendo “un ossimoro” la comprensione di qualcosa di umano, appunto, in un delitto, per di più femminicidio, e doppio.
Ciò che sia il Corriere della Sera che La Stampa hanno tuttavia omesso di raccontare o riferire ai lettori della prima pagina, dove molti fermano la loro attenzione senza spingersi all’interno per saperne di più, è che il condannato ha 73 anni. Di fronte ai quali la differenza fra ergastolo e 30 anni di carcere mi sembra francamente pleonastica, a dir poco, per quanto solide possano essere agli occhi di un giurista. Ma, appunto, di un giurista. Non di un lettore comune, del quale si dovrebbe pur tenere conto nelle titolazioni e nei testi di prima pagina. Non vi pare?
Senza fare nomi perché prescindono dai fatti, mi pare che errori di giudizio, o di comprensione, e omissioni di cronaca creino insieme polemiche a dir poco esagerate, come gran parte, del resto, di quelle politiche che occupano sulle prime pagine o nei titoli dei telegiornali ancora più spazio di quello guadagnatosi dalla sentenza di Modena.
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