
Alessandra Ghisleri nel riferire sulla Stampa dell’ultimo sondaggio del suo istituto Euromedia Research ha tenuto a sottolineare di averlo condotto in una coincidenza eccezionale: nelle ore dominate dalla notizia della liberazione della giornalista italiana Cecilia Sala. Un successo indiscutibile anche del governo, personalmente della premier corsa anche da Donald Trump per rimuovere gli ultimi ostacoli. Un successo non solo dei servizi segreti, della diplomazia, degli apparati e quant’altro, compresa l’informazione. Che forse non ha avuto il tempo di fare danni nella pratica del silenzio chiesto dalla famiglia nella fase più pericolosa del sequestro di Cecilia in uno dei peggiori penitenziari del mondo, e non solo del regime iraniano.

Una pagina indiscutibilmente consolante della politica avrebbe dovuto procurarle un certo recupero di credibilità. Una maggiore predisposizione degli intervistati a occuparsene, a non rifiutarla. E invece in un sondaggio condotto con esplicite domande sulll’operazione Sala, chiamiamola così, colpisce quell’ulteriore aumento, rispetto a un mese prima, della percentuale alla voce, finale e testuale, “indecisi-astensione”: dal 50,5 al 50,8 per cento. E’ “solo” lo 0,3 per cento in più, mi direte. Un altro “passetto”, più che un passo. Ma di passetto in passetto sono anni che la politica, e tutto ciò che le è connesso, compresa la democrazia, perde terreno a beneficio dell’indifferenza. Che è peggiore della protesta perché meno emotiva, più convinta, più ragionata. Neppure ad una operazione come quella che ho intestato a Cecilia Sala è seguito un segno d’inversione, per quanto modesto, della tendenza al rifiuto della politica. O inappetenza elettorale.
Per quel che resta dell’interesse residuo, sotto il 50 per cento degli “intenzionati” a votare, magari per premiare un partito rispetto ad un altro, si sono registrate variazioni favorevoli al partito della premier, salito di un punto e mezzo rispetto al 30 per cento di un mese prima. Lo 0,3 per cento in più è andato al Pd della Schlein, distante però adesso di più di sette punti dalla formazione della Meloni.

Il MoVimento 5 Stelle di Giuseppe Conte ha perso l’1,4 per cento scendendo al 10. Di cui magari Conte riuscirà a consolarsi pensando al 9,8 per cento conseguito nelle ultime elezioni svoltesi a livello nazionale: quelle di giugno dell’anno scorso per il rinovo del Parlamento europeo. Dei grillini, anzi post-grillini come lo stesso Conte preferirà vedere definire i suoi elettori dopo la rottura col fondatore, ha ragione Luigi Zanda a dire, come in una intervista ieri a 24 Ore, che “non sono un partito stabile”. “In questo momento -ha aggiunto l’ex capogruppo del Pd al Senato- mi sembra che la (loro) linea politica sia determinata dalla volontà di distinguersi continuamente dal Pd, con la conseguenza che il Movimento dimagrisce vistosamente. Non è Schlein che sta erodendo il Movimento 5 Stelle, è la politica incomprensibile di Conte che fa perdere i voti”.
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